Il seguente articolo è stato ispirato principalmente leggendo un testo di Francesco Bottaccioli del 2011 che offre spunti di riflessione sulla relazione mente-corpo, ma qui torna utile nel confondere le idee sul concetto di stress psicologico e, soprattutto, di come affrontarlo.
Psiche e sistemi biologici: una relazione integrata per la cura dello stress
Dallo Stress verso la Psiconeuroendocrinologia
(Si lo so sembra una parolaccia e bisogna fare 2 ore di esercizi di articolazione per riuscire a pronunciarla:
“psico – neuro – endocrino – immuno – logia”. Ripetetela 20 volte, poi potete chiamarla PNEI)
È sempre più evidente che gran parte dei malanni che affliggono l’umanità si radica nelle cattive relazioni che gli esseri umani instaurano tra di loro e con l’ambiente. La struttura dell’alimentazione, quella del lavoro e della vita sociale contemporanee plasmano stili di vita e ambienti urbani che costituiscono le radici delle principali patologie moderne:
- cardiopatie
- tumori
- malattie autoimmuni e allergiche
- disturbi dell’umore e del comportamento
Parlare di “stress” ci porta quasi automaticamente a pensare al fatto che tutto sia collegato: il traffico delle 7.55, il mio fegato, la pioggia, il raffreddore, la sigaretta, una bella vacanza, prendere finalmente quella decisione, avere un figlio interista, la perdita dei capelli, sarà la tiroide, grattarsi, troppi grassi, poco movimento, ehi respira un po’, la psoriasi, l’intestino, notti insonni, pesantezza e – finalmente – la spossatezza.

Scienza e paninoteche su questo sono bene o male d’accordo: così come emozioni e pensieri influenzano il corpo, attività fisica e alimentazione influenzano la mente. Quando si esagera o si perdura in modalità non funzionali, ci si stressa, corpo e mente.
Quello che alla persona comune pare una banalità, per la scienza non è così facile da capire e dimostrare. Il “mens sana in corpore sano”, le pratiche di preghiera o meditazione antiche, vecchi detti popolari… portano facilmente ad intendere corpo e mente come un’unità.
Anche se non se ne sanno i dettagli fisiologici, per i più è facilmente intuibile che il perseverare di emozioni negative corroborerà il corpo, così come disfunzioni organiche influiranno nella mente. Anzi ancor meglio: i concetti stessi di corpo e mente sono molto più sfumati e diffusi nei bar, che non nei laboratori. È nell’esplicitazione di una dicotomia su cui si argomenta così molto che si costruiscono confini e barriere difficili da attraversare. Potremmo chiamarla maledizione cartesiana.
Ritrovare l’antica e naturale unità tra i due concetti è l’arduo compito della scienza occidentale, che ha preferito svilupparsi settorialmente, delimitando bene i campi di pertinenza delle varie scienze. (Da qui vorrei che qualcuno sviluppasse l’idea dell’utilità dei paradigmi riduzionistici nella sofisticazione di alcuni modelli e tecnologie).
Diciamo che fino a qualche secolo fa, solo quei mattacchioni dei filosofi non riuscivano a trovare il nesso tra mente e corpo, gli altri non ne dubitavano nemmeno. Poi l’anatomia, la fisiologia, la psicologia sono arrivate e hanno definito chi si occupasse di cosa. La medicina, che è una prassi e, quindi di natura altamente pragmatica e poco teorica, ha sempre pescato dalle teorie delle varie scienze per occuparsi principalmente di salvare vite e alleviare sofferenze (mica bagigi).
Nello svolgere questo compito, anche la medicina si è andata specializzando e settorializzando: cardiologia, gastrologia, fisiatria, neurologia, ginecologia… Ma c’era sempre lo stress.
Lo studio dello stress e soprattutto i tentativi di cura dello stress (dagli anni ’30 in poi) hanno sempre ricordato a tutti che corpo e mente non fossero poi così divisi, che il corpo stesso non si potesse intendere a compartimenti indipendenti. Lo stress è stato così il pezzo di nastro adesivo che teneva uniti corpo e mente in molte teorie della salute. Ma anche il motivo per cui molte persone sono attratte da filosofie e discipline orientali, dallo yoga, al kung fu, passando dal tai chi.
Il contributo della psiconeuroendocrinoimmunologia
La Psiconeuroendocrinoimmunologia è una delle risposte a questa necessità di occidentalizzare il pensiero orientale nel campo della salute, o di ritrovare un senso più umano alle cure senza perderne in scientificità. La PNEI raccoglie numerose ricerche scientifiche che dimostrano l’essenza sistemica dell’organismo umano.
Citando Bateson, si parla di un “più vasto sistema interattivo” che si sostanzia in una rete di relazioni biologiche interne dell’organismo, derivate da:
- alimentazione
- attività fisica
- stato dei sistemi di regolazione fisiologica (“network neuroendocrinoimmunitario“)
Per mancanza di competenza non si vogliono qui analizzare i complessi studi di tale network, rimandando ai riferimenti a fondo pagina.
Qui si vorrebbe valutarne l’utilità nella cura dello stress.
La PNEI si configura come una vasta area di ricerca e di raccolta di ricerche, che permette un salto epistemologico alla medicina. La sua valenza in campo psicoterapeutico (inteso nel senso lato del cambiamento della psiche, delle sue abitudini e modalità quando non sono funzionali al contesto di vita) è importante perché la PNEI:
- offre molteplici dati e dimostrazioni sugli effetti biologici dell’intervento psicoterapeutico
- offre molteplici dati e dimostrazioni sugli effetti biologici di esercizi e pratiche psicologiche
- offre un’idea di organismo umano che può continuamente migliorare e prendersi cura di se stesso
Se è vero che la caratteristica principale dello stress è l’aspecificità della risposta, cioè che biologicamente si risponde ad un evento stressante di qualunque natura esso sia, coinvolgendo lo stesso processo (neuro-endocrino-immunitario… e mi si perdoni la semplificazione); si può allo stesso modo sostenere che il perdurare di una condizione di stress comprenda anche una particolare modalità di predisposizione psicologica costituita da:
- una percezione di se stessi come impotenti di fronte alla situazione stressante (o perché considerata inevitabile, o perché non si riesce a individuare un nesso tra il proprio malessere e un evento esterno)
- una concentrazione dell’attenzione su di una causa esterna o su di un sintomo psicosomatico.
Queste caratteristiche della “persona stressata” costruiscono un ruolo con pochissimo spazio d’azione per la cura dello stress e del proprio benessere.
La PNEI contribuisce a promuovere, invece, maggior possibilità di cambiamento, infatti:
- una visione medica globale può intervenire in modo più efficace ed efficiente sul sintomo
- le persone sono responsabilizzate, invitate e aiutate nel mutare abitudini di vita (che non è più “un semplice consiglio, ma poi faccia lei”)
- il contributo delle varie scienze, e quindi della psicologia (ma non per forza dello psicologo) è richiesto in ogni fase progettuale dell’intervento e dell’organizzazione del servizio
“Lo stress è un fatto psicosociale non riconosciuto, il cui risultato è in gran parte organico”
Se la risposta di stress è la conseguenza di un’attivazione emozionale innescata da modalità di intendere la realtà che vengono costruite ed imparate nel vivere in una certa cultura e società, importante è ogni riflessione scientifica che ricerchi la cura dello stress non solo nell’organico, ma anche nel sociale.
La PNEI pare appartenere ad una spinta verso un cambiamento culturale di intendere l’uomo, le sue relazioni con la società e anche il modo in cui la società stessa si struttura. Si potrebbe paradossalmente sintetizzare che: siamo stressati perché la società ci chiede sempre di più e perciò noi chiediamo sempre di più a noi stessi, ma la società ci dà anche sempre di più e questo ci fa essere sempre più viziati e indifesi dagli stimoli sociali. Quindi da un lato la PNEI spinge l’individuo ad una maggior autodisciplina, ad un’attenzione al suo profondo e al suo modo di vivere per sopravvivere in questa società, dall’altro implicitamente accoglie il desiderio dell’individuo di una società più a misura d’uomo.
Domande sulla PNEI
Quando ci si trova nel ruolo di “pazienti” e si lamenta un problema che la medicina “classica” pare non inquadrare, spesso si è sballottolati da uno specialista all’altro (noi psicoterapeuti solitamente siamo gli ultimi della fila, quando, dopo esami vari la conclusione è: “Probabilmente il problema è psicologico”). La PNEI pare una disciplina che riunisca più saperi in un’ottica sistemica. Questo favorisce la diffusione del sapere, la collaborazione tra discipline, l’approccio al sintomo senza trascinarlo per forza nella propria operosità.
A modesto parere di chi scrive vi sono però delle domande:
- Come si configura la psicologia? Le discipline dovrebbero condividere anche assunti teorici comuni, una metodologia rigorosa e una terminologia adeguata. Il problema mente-corpo è un cardine della riflessione filosofica e scientifica degli ultimi millenni, giungerne ad una condivisione di senso dal punto di vista scientifico e non idealistico o religioso è un traguardo molto ambizioso. Bottaccioli sicuramente di epistemologia e di filosofia della scienza ne mastica e diversi suoi testi cercano di indirizzare i colleghi in questa direzione. Tra i molti testi, pare però mancare chiarezza nell’ottica sistemica della psicologia, chiusa ancora nell’individuo e non interessata alle relazioni sociali o alla dimensione culturale. Per quanto molti autori stiano lavorando in tal senso, purtroppo la psicologia porta con sé ancora troppi campanilismi e non si vede un lavoro omogeneo che unisca Reich, Lowen, Bateson, Maturana, Varela e i neuroscienziati.
La mancanza di riflessione epistemologica nell’unica scienza che si occupa di un concetto (la psiche), può far traballare l’intera architettura. - Come si configura il professionista PNEI?
Sebbene sia apprezzabile la visione olistica dell’uomo che cura se stesso non a compartimenti stagni, è allarmante l’idea di un professionista tuttologo che sappia trovar rimedio ad ogni malessere. Vero è che numerosi studi PNEI nascono da equipe multidisciplinari, ma nella diffusione la PNEI non rischia di divenire da area di ricerca a disciplina operativa senza aver però una metodologia organizzativa? - Quali sono le aree di competenza? Nel web vi sono numerosi siti di PNEI che sfumano nella religione, nello yoga o nella meditazione. Non che questo sia moralmente sbagliato, ma è dubitabile l’idea che un bravo neurologo sia anche un bravo maestro zen, o che, se fossero persone differenti, il maestro zen condividesse l’epistemologia PNEI. Non vi è la necessità di delimitare il campo alla medicina, o di allargarlo decisamente ad altre scienze umane?
Ultimi spunti per cercar altri spunti
Grazie alla PNEI la medicina si spinge ancor di più in un’ottica sistemica. In questo contesto la psicologia viene considerata uno strumento certamente utile, ma pare essere solamente un prefisso non ancora ben declinato (più per demerito del solito campanilismo psicologico).
Data la fondamentale rilevanza che ha la Medicina nella progettazione delle organizzazioni per la salute dei cittadini, un suo salto avanti verso paradigmi già propri delle scienze umane avrà sicuramente buoni effetti. Il confronto della Psicologia con la metodologia della prassi medica, infonderà alla prima maggior pragmatismo e attenzione alla misurazione dei risultati.
All’interno di un mutamento culturale più vasto, in cui (se vogliamo tirarcela per i capelli) l’economia da sola non riesce a governare il mondo, il contributo di sociologia e antropologia pare però essere indispensabile.
Approfondimenti sulla PNEI:
Sul Paradigma Epistemologico della PNEI (pdf di 22 pag)