Perché ci sono così tanti errori nelle spiegazioni dell’effetto Dunning-Kruger?
In questo articolo cercherò di dimostrare che l’interpretazione diffusa dell’effetto Dunning-Kruger è errata. E come tale errore, spesso, è causato dallo stesso effetto Dunning-Kruger (ndr: ne sono stato vittima anch’io e probabilmente ne sarò vittima ancora). Vedremo come la distorsione cognitiva, a cui si riferisce l’effetto, riguarda le valutazioni delle proprie prestazioni (performance) rispetto a quelle altrui e che, dati alla mano, poco abbia a che fare con l’intelligenza e con l’esperienza delle persone.
Se non sapete nulla dell’effetto Dunning-Kruger e cercate una spiegazione con i riferimenti corretti alle ricerche: qui trovate l’articolo giusto.
Se vi interessa valutare al meglio le vostre abilità, siete allergici alle facilonerie e un po’ bastian contrari: questo articolo fa per voi!
In sintesi, ci hanno ingannato:
- Il grafico è ERRATO
- I peggiori NON si reputano i migliori
- I migliori SANNO di esserlo
- Tutti credono di essere SOPRA la MEDIA
- L’esperienza NON serve, la formazione sì
Successivamente all’articolo ho fatto questa diretta in cui approfondisco e spiego il tutto: è lunga, ma al vantaggio che si può ascoltare 😉
La definizione errata dell’effetto Dunning-Kruger e le sue utilità
Quando nel web si parla di effetto Dunning-Kruger si intende quella distorsione cognitiva dalle conseguenze spesso imbarazzanti: in particolare ci si riferisce al sommarsi di inconsapevolezza e supponenza da parte di persone che si espongono in un campo di cui non hanno competenza, a differenza di chi in tale campo ha esperienza e invece si dimostra più umile e meno sicuro.
È una definizione errata, ma è molto utile allo sfogo popolare perché permette di dare scientificità al vecchio motto “La madre dei cretini è sempre incinta”, mentre gli esperti sono sempre prudenti.
La definizione errata, per quanto contestabile in molti aspetti (che vedremo nel dettaglio), offre però ottimi spunti. Vediamo ora alcune prime ipotesi sul perché si sia diffusa un’interpretazione distorta dell’effetto Dunning-Kruger.
1. Giustificazione dell’ignavo
«Una delle cose più dolorose del nostro tempo è che coloro che hanno certezze sono stupidi, mentre quelli con immaginazione e comprensione sono pieni di dubbi e di indecisioni» – Bertrand Russell –
Mal interpretare la ricerca dei due psicologi della Cornell University, David Dunning e Justin Kruger, torna utile per giustificare la nostra inattività. Rimaniamo comodamente nella nostra zona di comfort citando (in modo errato ma inconsapevole) una ricerca e credendo che sostenga che gli stupidi sono sicuri, mentre i saggi sono dubbiosi. Ovviamente noi ci possiamo così sedere tra i saggi e ricordare quei momenti in cui noi stessi, esperti in un certo ambito, non abbiamo espresso in modo deciso le nostre opinioni temendo che non fossero pienamente corrette. Questo faciliterà il nostro continuare a non agire, a non dire, a non comunicare, a non progettare… Ma saremo accompagnati da un maggior senso di soddisfazione.
Purtroppo, però, qualora fossimo veramente esperti e saggi, questa interpretazione errata ci impedirà di ottenere ciò che meritiamo o, almeno, di rendere questo mondo un posto migliore grazie anche al contributo delle nostre competenze.
2. Il percorso di acquisizione di una competenza
Se la definizione errata porta all’apparente beneficio appena descritto (che è in verità un autosabotatore), bisogna anche ammettere che l’interpretazione sommaria dell’effetto Dunning-Kruger ha generato il disegno qui sotto.

Versioni leggermente differenti di questo grafico vengono riportate in ogni articolo del web e a mio parere sono genuinamente utili (anche se, ripeto, non riguardano il Dunning-Kruger).
Come si vede, nel disegno viene raffigurata la curva di acquisizione di una competenza: quando impariamo una nuova abilità potremmo inizialmente esserne entusiasti e giudicarci molto bravi ma, non appena superato il livello da “principianti”, comprendiamo quanta strada ci sia ancora da fare e possiamo crollare nello sconforto. Alla fine, dopo anni di pratica e studio, potremmo apparire esperti in quel settore agli occhi altrui ma, in cuor nostro, saremo ben consapevoli di quanto la materia sia complessa e quanto ancora ci sia da imparare (e forse questo è proprio il bello!).
La trovo una bella sintesi. Anche nelle versioni in cui viene indicato il “picco della stupidità” a sinistra e la “valle della disperazione” nel percorso centrale del disegno.
Del grafico, inoltre, mi piace la linea curva. La chiamo “il sorriso del miglioramento”. Non è un sorriso perfetto, ma forse è per questo più autentico: ci ricorda che l’autoironia e l’umiltà sono caratteristiche fondamentali per continuare ad apprendere e a migliorarsi.
Un disegno quindi bello e utile, peccato che sia sbagliato e non rappresenti minimamente i dati raccolti nello studio da Dunning e Kruger.
Paradossale, no?
Chi ci spiega l’effetto Dunning-Kruger non ha le competenze per capire che ce lo spiega male.
La mia interpretazione dell’effetto Dunning-Kruger vs quella diffusa
Ammetto che volevo scrivere “l’interpretazione corretta dell’effetto Dunning-Kruger”, ma ammetto pure che non sono riuscito a leggere tutte le diverse centinaia di pagine delle ricerche in merito e che io sono uno psicoterapeuta e un consulente, non un ricercatore esperto in statistica o social cognition (del resto, direte voi, siamo abituati a leggere articoli di ricerche di psicologia da gente che non ha mai letto un libro di psicologia).
La mia intenzione non è però quella di screditare gli autori della spiegazione maggiormente diffusa dell’effetto, ma di interrogarmi su come sia possibile che l’interpretazione errata di una ricerca sulle interpretazioni errate sia diventata così famosa e virale.
In quest’altro articolo, riporto la ricerca così come emerge dagli articoli pubblicati. Qui di seguito, invece, traccio una sintesi dell’idea che mi sono fatto finora.
Il disegno è sbagliato
Nei documenti che ho studiato non c’è il grafico che tutti riportano per illustrare l’effetto Dunning-Kruger. Dalla mia indagine, pare che la prima versione di quel grafico sia stata proposta il 15 ottobre 2011 da un disegnatore che la inserisce come opzione di stampa su una maglietta da nerd. Il grafico contraddice nettamente i risultati di Dunning e Kruger (*vedi note in fondo). Però è sicuramente più bello dei grafici originali.

Si parla di risultati, non di esperienza
La ricerca NON ha tra le variabili l’esperienza, ma la prestazione o la competenza dimostrata in un compito. Forse c’è un errore nella traduzione in italiano o forse è proprio una generalizzazione che si può trovare in alcune sintesi degli stessi autori, ma la ricerca confronta l’autovalutazione di studenti universitari rispetto ai risultati di 4 test scritti. Nei 4 grafici presenti nella ricerca originale, i risultati di ciascun test vengono disposti lungo l’asse orizzontale: a sinistra ci sono le persone che hanno ottenuto i risultati più bassi, a destra quelli che hanno svolto meglio la prova. Il “disegno errato”, invece, ci racconta le varie fasi di un percorso formativo o esperienziale.
In più la ricerca NON dimostra che con l’aumentare dell’esperienza si acquisisca maggiore competenza, anzi, Dunning e Kruger affermano che senza alcune competenze cognitive, l’esperienza da sola non basta: le persone incompetenti non riusciranno a migliorare.
Altri articoli sul web, inoltre, sembrano associare la sovrastima di sé a tratti di personalità o intelligenza. È una grave forzatura non supportata da alcun dato.
I peggiori non si reputano i migliori
Semplificando senza troppo travisare, le 4 prove della ricerca consistevano in un test scritto su una specifica competenza (es: grammatica) a cui seguivano due domande di autovalutazione rispetto alla competenza stessa. Per esempio, senza che potessero vedere le prove dei compagni, si chiedeva agli studenti di ipotizzare se i risultati delle loro prove fossero tra i migliori o i peggiori indicando un valore da 1 a 100.
Poi si confrontava tale valore con l’effettiva “classifica” risultante dalla correzione dei compiti.
Nei dati raccolti da Dunning e Kruger, i partecipanti che ottengono i risultati peggiori nelle prove (i “peggiori”) si valutano peggio rispetto alle stesse autovalutazioni dei compagni.
Non c’è dunque nessuna superbia o arroganza degli stupidi. O almeno non è qui che si nota.
I migliori sanno d’esserlo
Da tutti i dati raccolti da Dunning e Kruger, i partecipanti che ottengono i risultati migliori nelle prove (i “migliori”) si valutano meglio rispetto alla media dei compagni.
Dalla ricerca è evidente che la “fiducia” nelle proprie competenze è generalmente sopra la media per tutti i soggetti e che la “fiducia” cresce al crescere delle competenze. A dispetto del grafico-errato non c’è nessuna curva verso il basso della “fiducia” in se stessi, anzi, nei grafici originali le autovalutazioni sono rappresentate quasi come una retta che cresce (vedi linea rossa del grafico sotto).
A dispetto di ciò che viene detto sul web: chi ottiene risultati migliori si reputa migliore degli altri, la ricerca dimostra solo che i più competenti sottovalutano la differenza tra le proprie prestazioni e quelle della media delle persone (semplificando: tra 100 persone i 5 più bravi ritengono di essere solamente tra i 30 più bravi, ma comunque tra tutti si dimostrano i più sicuri di sé).
Cade anche l’altro falso mito del Dunning-Kruger: i migliori non sono così umili.
Un grafico di sintesi, a mio avviso, potrebbe essere questo.

Sovrastima delle proprie capacità
Questa è la caratteristica rilevante della ricerca. Dai dati emerge un fenomeno di sovrastima delle proprie capacità che cresce al diminuire delle stesse. E, ancora più significativo, si inverte quando le capacità superano una certa soglia: è vero, le persone che dimostrano minori competenze le sopravvalutano maggiormente, così come le persone con maggiori competenze si sottovalutano.
Però qui c’è un errore di comprensione logica (che sembra venga spesso favorito dagli stessi Dunning e Kruger): dire “gli esperti si sottovalutano rispetto alla media” si riferisce al fatto che, in un’ipotetica classifica di 10 partecipanti al test, il migliore di tutti si pone nei primi 3 posti (quindi 2 posti più in basso di quanto vale realmente).
Dire “i peggiori si sovrastimano rispetto alla media” si riferisce che, nella stessa ipotetica classifica, l’ultimo (il 10° classificato) si ritiene al 5° o al 6° posto (quindi 5 posti più in alto di quanto vale realmente).
È fuorviante e tendenzioso dire che i peggiori si sovrastimano maggiormente dei migliori, perché il confronto è tra il risultato del test e la propria autovalutazione, non tra persone, invece l’espressione usata fa intendere che le persone meno competenti si reputino tra i migliori del gruppo.
Gli incompetenti è vero che sopravvalutano di 4 punti il loro valore, mentre gli esperti sottovalutano il proprio di 2 ma, come scritto sopra, rispetto ai colleghi, le valutazioni date a se stessi degli incompetenti sono le peggiori e quelle degli esperti sono le migliori.
Se proprio si volesse passare il messaggio che l’ignoranza è associata a supponenza, mentre la conoscenza all’umiltà, allora si potrebbe usare un grafico come questo sotto, rispettando i dati della ricerca. Analizzando a spanne i dati emerge che in media i peggiori si sopravvalutano più del 47% del valore effettivo, mentre i migliori si sottovalutano più del 18% rispetto ai risultati reali.
Ma ripeto: qui NON si dice che una persona incompetente si reputa migliora di quella esperta, qui se vogliamo proprio esagerare, si sostiene che l’incompetente ha maggiore fiducia in sé in senso generale perché è l’ultimo, ma si reputa da metà classifica.

Confronto con le performance altrui
I risultati delle prove NON vengono mostrati ai partecipanti: quando gli psicologi Dunning e Kruger chiedono alle persone di valutare il proprio test rispetto a quello delle altre persone coinvolte, richiedono un confronto ipotetico.
La ricerca dimostra che la sottovalutazione di sé dipende solo dal fatto che i migliori NON hanno visto le prove degli altri: non appena vedono le prove svolte dagli altri partecipanti, correggono subito il tiro e si considerano, meritatamente, tra quelli che hanno svolto il compito con più accuratezza. Nessuna umiltà e nessun timore di attribuirsi le proprie capacità dunque.
Questo è un risultato significativo per la ricerca, che dimostra anche l’opposto: coloro che hanno ottenuto i risultati peggiori non hanno le competenze per accorgersi dei propri errori nemmeno confrontando i propri test con quelli altrui. L’incompetente non cambia quando analizza le prove altrui: l’esperienza da sola non basta.
Sindrome dell’impostore
Spesso nel web l’effetto Dunning-Kruger viene associato alla sindrome dell’impostore. Ma la ricerca in oggetto pare quasi contraddire l’impostore: Dunning dice più volte e chiaramente che gli esperti inizialmente si sottovalutano per false consensus effect, cioè ritengono che, siccome per loro il compito è stato abbastanza facile, lo sia stato anche per gli altri partecipanti all’esperimento. Non si sentono minimamente impostori rispetto agli altri, anzi, se prima si consideravano tra i bravi, quando si confrontano con gli altri, diventano consapevoli di essere i migliori e non hanno alcuna remora nel riporsi tra i primi. Pare, dunque, che gli autori riferiscano l’effetto Dunning-Kruger solo al bias cognitivo che coinvolge “gli incompetenti” che si differenziano dagli “esperti” proprio per le carenze nell’autovalutazione di sé.
Formazione ed educazione
Gli autori dimostrano che formando correttamente quelli che in altri articoli chiamerebbero “stupidi arroganti” (invece sono solo studenti che hanno ottenuto i peggiori risultati su alcune prove e che non riescono a capire di aver sbagliato), dicevo, istruendo i “peggiori” questi diventano consapevoli degli errori commessi, quindi migliorano le proprie capacità di valutarsi in quell’ambito.
Riassumendo l’effetto Dunning-Kruger in cui cade chi spiega l’effetto Dunning Kruger
L’effetto Dunning-Kruger riguarda principalmente la correlazione tra le competenze cognitive necessarie per svolgere un compito e le competenze metacognitive per valutare la propria prestazione: meno sono bravo in un settore, meno strumenti avrò per giudicare i miei risultati in quel settore, quindi, avrò scarse possibilità di riconoscere i miei stessi errori.
Non riporto qui le diverse critiche che vengono rivolte alla ricerca e alle conclusioni a cui sono giunti gli autori.
La domanda che mi pongo in questo articolo è: perché gli autori di numerosi testi sul web non abbiano approfondito la ricerca originale di 12 facciate, nella quale ci sono solo 4 grafici, pressoché identici, in cui si nota chiaramente che la “fiducia nelle proprie competenze” aumenta all’aumentare delle stesse competenze? E perché una ricerca a disposizione di tutti gratuitamente su Google viene riportata in un modo errato?
Ecco alcune ipotesi:
- a sbagliare sono io: l’interpretazione grafica data dal disegnatore nerd australiano e quella della maggioranza degli articoli del web è corretta. In pieno Dunning-Kruger, le mie incompetenze in ambito statistico non mi fanno cogliere che i dati si possono interpretare anche in quel modo. In tal caso la mia ipotesi è che l’autore del grafico incriminato, sia in realtà un esperto di statistica che abbia usato principalmente i dati relativi alla response consistency della 3^ prova reinterpretandoli con una curva polinomiale che rappresentasse al meglio una teoria più ampia rispetto a quella proposta esplicitamente dagli autori. (Ovviamente questo è un mettere le mani avanti. Sono convinto di aver ragione, ma lo sarei anche se fossi caduto nel Dunning-Kruger. Chiedo dunque agli esperti di spiegarmi le posizioni del 2° e 3° quartile di molto inferiori al 50% di fiducia).
- Le persone sono cadute nel bias della conferma: convinte che la ricerca degli psicologi Dunning e Kruger possa spiegare l’imbecillità diffusa nel web, si sono fiondate su un tema caldo escludendo i dati che andrebbero a contraddire le loro ipotesi iniziali. Capita spesso anche nella ricerca scientifica: le riviste sono zeppe di scienziati che sono riusciti a dimostrare proprio le loro ipotesi iniziali. Rari sono i casi in cui qualcuno riporti un fallimento delle proprie tesi. David Dunning e Justin Kruger non fanno eccezione: riescono a dimostrare tutte e 4 le premesse della loro ricerca.
- È colpa del disegno. La bellezza e l’eleganza del tratto del grafico-errato facilita la sua comprensione e la memorizzazione attivando numerosi bias cognitivi che impediscono di procedere con ulteriore ricerche. Ritengo, però, che l’errore principale che ha indotto le persone a considerare vero quel grafico sia un bias di conferma: come spiegato sopra, il disegno va a intercettare una teoria già diffusa (“i cretini parlano troppo, i saggi non si espongono”) e offre la piacevole illusione di essere noi i saggi o, quantomeno, non identificarci con gli idioti.
- La distrazione dovuta alla storia del succo di limone. La ricerca di Dunning e Kruger inizia citando il personaggio del signor Mc Arthur Wheeler. La sua storia bizzarra può aver catalizzato l’attenzione dei lettori che, paradossalmente, sono incappati in un’altra categoria dei bias cognitivi: il Bizarreness effect. In sostanza la bizzarria della storia delle rapine al succo di limone si imprime così facilmente nella nostra mente che non ci permette di cogliere le altre conclusioni della ricerca. E sono quelle più interessanti. [Se ti interessano altre distorsioni cognitive che riguardano la memoria, guarda questa lista. I miei preferiti sono gli ultimi due, soprattutto…]
- I titoli e le sintesi degli stessi autori. David Dunning e Justin Kruger hanno continuato a citare, ampliare e raccontare la loro ricerca. E molto spesso, probabilmente senza volerlo, hanno favorito il fraintendimento dei risultati verso una loro estremizzazione che ha attratto maggiormente il senso comune. Le continue citazioni a Russell, Darwin o altri autori, in cui in tono sarcastico ci si lamenta della abbondanza di stupidità nel mondo, hanno attribuito alla ricerca un ruolo di rivalsa sociale e morale da parte di coloro che, condividendola, si potevano così rivendicare vittime dell’idiozia altrui.
Così, sorridendo, mi piace concludere citando anch’io Bertrand Russell
«Il fatto che un’opinione sia ampiamente condivisa, non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Anzi, considerata la stupidità della maggioranza degli uomini, è più probabile che un’opinione diffusa sia cretina anziché sensata.» Bertrand Russell, “Matrimonio e morale”
Riferimenti e note
- La mia ricerca sull’origine del grafico meriterebbe un articolo a sé. L’immagine del grafico dell’effetto Dunning-Kruger l’ho presa da un bell’articolo di Anna Maria Testa. L’originale era in lingua inglese e, come la stessa autrice rivela, la si può trovare anche in questo articolo del 2018 di un ex studente all’ultimo anno di Medicina a Oxford. Quest’ultimo articolo (a differenza, ahimé, di quello della pur sempre brava Testa) è maggiormente fedele alle ricerche di Dunning. Ho contattato il docente che ha collaborato con l’ex studente per la creazione dell’articolo. Mi ha gentilmente risposto (del resto a Oxford sono tutti gentlemen), scrive che il disegno (cartoon) rappresenta l’idea del problema e non si riferisce ad alcun dato della ricerca. Scopro poi che il disegno è proprio il risultato di un disegnatore australiano che nel 2011 lo inserisce nel suo sito di t-shirt. Contatto anche lui e mi conferma che il grafico è suo ed è nato da una sua sintesi dei dati, ma non ricorda i passaggi. Nel disegno originale è riportato che Dunning e Kruger hanno vinto il Nobel per la Psicologia nel 2000 (peccato che tale premio non esista, sono stati solo premiati per Ig Nobel, un premio per le ricerche più bizzarre)
- I miei grafici sono approssimativi: ho fatto velocemente una media di tutte e 4 le prove cercando di usare la stessa idea di chi avesse fatto l’altro disegno (ma basta osservare i 4 grafici creati nell’articolo da Dunning e Kruger per capire che sono almeno rappresentativi).
- Articolo originale “Unskilled and unaware of it: how difficulties in recognizing one’s own incompetence lead to inflated self-assessments”
- Critiche varie ai risultati e alle conclusioni della ricerca (Burson KA, Larrick RP, Klayman J. ; J. Krueger, R. A Mueller, 2002 )
- [Edit] ho trovato una critica simile alla mia, ma del 2010 in questo bellissimo articolo qui