La melassa: il miglioramento impersonale

Cercherò di non parlare in modo polemico, perché non voglio essere polemico… E cercherò che la polemica non faccia confusione. Il titolo è già esplicito: la melassa, o meglio quella che io chiamo melassa.
Con melassa cosa intendo? Intendo quei lati della crescita personale e della promozione del benessere che mi preoccupano. Ovvero il miglioramento personale che non ha nulla (o poco) di personale.

Non parlo delle utili banalità per la nostra salute

Ci sarete capitati tutti navigando sul web: informazioni, ricerche psicologiche, mediche, nutrizionali, motorie, che ci aiutano offrendoci nozioni, strumenti e metodi per prenderci cura di noi (es: dormire bene, bere acqua, mangiare sano, fare movimento, leggere, meditare…). Personalmente, non ritengo che alcuni metodi o ricerche siano poi così illuminanti. Sono un po’ i consigli della nonna (molti anni fa un po’ per ridere li ho raccolti in questo articolo). Ecco, la loro comprensione è di una banalità estrema… Forse è per questa facilità nel comprenderli che li rende difficile da seguirli e praticarli.

Parlo del paradosso del “credi in te stesso, fai come me”

Tra web e depliant vi sono sicuramente tante buone proposte, tanti contenuti di valore, ma c’è anche chi promette soldi facili, felicità perenne, serenità immediata, al grido di “Credi in te stesso che ce la fai!”, “Anche io ero come te, ma poi ho scoperto il segreto…”.
In molte di queste pubblicità si vede subito che sotto c’è un malaffare, altre volte, però, la comunicazione è molto persuasiva.
Il rischio sociale e psicologico del messaggio che sta passando necessita un intervento da parte coloro che del benessere psicologico ne fanno una professione, e, soprattutto, da parte di coloro che professionalmente si occupano poi dei danni che tali messaggi procurano. Siamo in tanti a sostenerlo e oggi dico la mia.

1° rischio del miglioramento impersonale: successo vs realizzazione di sé

Rischi del Miglioramento personale: Successo = soldi


Il primo rischio riguarda specialmente chi lavora o chi sta cercando un lavoro. C’è un gran vociare di “Crea il tuo successo, crea te stesso. Crea la tua professione, licenziati dal vecchio lavoro perché i dipendenti sono degli sfigati”. Senza pensare che non tutti nascono per fare i liberi professionisti o gli imprenditori. Senza pensare alle conseguenze di un fallimento imprenditoriale. Senza pensare che per essere un bravo dipendente ci vogliano caratteristiche e competenze che un bravo imprenditore o libero professionista non ha. E questo, che già è allarmante, non è il problema più rilevante.

Il rischio è di basare tutto, indistintamente, sul successo, senza andare a declinare cosa si intenda per “successo” e, andarlo a confondere esclusivamente con il risultato economico o con il riconoscimento sociale. Infatti chi tiene questi corsi propone questi tipi di valore: macchine di lusso, attici in città metropolitane e vacanze in yacht da sfoggiare sui social, non con l’intento del divo di turno, ma con l’obiettivo “Anch’io ero sfigato come te, dammi i tuoi soldi che ti spiego come farne di più”.

Il problema, sia chiaro, non sono i soldi e nemmeno il lusso. Il problema è che ci si disinteressi del modo in cui si ottenga denaro e successo. O, ancor peggio, che passi l’idea che per avere successo si possa vendere l’idea dei soldi facili alla gente, che a sua volta, per rifarsi del conto e dell’autostima in rosso, debba rivendere la stessa idea ad altra gente.

Il problema, sia chiaro, non è il “marketing”, ma è il modo in cui le strategie di business o di marketing adottate per ottenere successo andranno a cozzare con la propria persona e i propri valori.
Quello che oggi viene definito personal branding, proprio perché “personale” deve per forza fare i conti con un lavoro su se stessi. Perché non è detto che sia così facile trovare quel lato di sé che possa tramutarsi in un brand funzionale per il mercato. Le persone non preparate a declinare la propria personale idea di “successo” coerentemente con i propri valori e limiti, rischiano che il proprio “brand” diventi solo un’immagine plastificata e costruita a ricalco di quel mister sorriso con la Porsche.

Quello che stai facendo è ti rispecchia veramente?

Se il primo rischio è focalizzare tutto su un risultato non condiviso, per non confondere “successo” con “soldi”, “like” o altro, alla parola successo metterei in contrapposizione la focalizzazione sulla realizzazione di sé, che è nettamente differente. Perché mentre il successo è qualcosa di impersonale, la realizzazione di sé è molto personale. E prima di ottenere successo in quello che fai ti pone a farti una domanda interna: “Quello che fai è quello che vuoi fare? È quello in cui ti rispecchi?”.
Abbiamo parlato di Jung, del daimon, di Hillman, della teoria della ghianda, abbiamo parlato del mito di Er: in poche parole, se sono nato in un certo modo o mi sento in un certo modo, realizzare me stesso è più importante di avere successo in un’area che non mi rispecchia. Parafrasando e edulcorando Fabrizio Cotza (un formatore che ho visto ieri per la prima volta, ma che ho apprezzato molto): “Non mi adeguo ad un mercato del cavolo, per essere una capra di successo”.

Dunque, in qualsiasi corso di formazione che andrete a fare, vi invito a fare una riflessione sulla realizzazione di voi stessi piuttosto che sull’ottenimento del successo, che sia economico o pubblico.

2° rischio: felicità vs consapevolezza contestuale e gestione delle emozioni

rischi del miglioramento personale: essere sempre felici


Il secondo rischio del “miglioramento personale” riguarda la ricerca della felicità. Felicità, a tutti i costi la felicità, l’unico obiettivo è la felicità. Concordo pienamente sul fatto che sia bello essere felici. Ma ci sono dei rischi enormi dietro al voler essere felici a tutti i costi. Uno, ad esempio, è quello di costruirsi un’immagine di persona sempre sorridente che però non corrisponde alla realtà delle emozioni che proviamo. Va bene allenarsi alla felicità, va bene essere contenti, ma questo non può trascurare una sincerità emotiva. La continua ricerca della felicità a cui siamo spinti nel mondo occidentale, fa in modo che le altre emozioni vengano considerate negative. Quindi non ci si può arrabbiare, non si può essere tristi, non si può essere delusi, non si può avere il muso lungo perché diamo fastidio agli altri e a noi stessi. Sbagliato. Le altre emozioni sono emozioni ugualmente importanti da provare. Ed è fondamentale riuscire a capire che emozioni come la tristezza, la rabbia e la paura sono emozioni che ci hanno portato ad arrivare fino a qui e che probabilmente saranno, ben più della felicità, quelle che ci salveranno la vita d’ora in poi (ho parlato qui di rabbia e paura).

Credete che essere sempre felici sia “sano” o “utile” in questo mondo?

Se voi siete felici di questo mondo qui, allora siate felici. Se percepite che attorno a voi ci siano sempre e solo cose di cui essere contenti, siate contenti. Se ritenete che questo mondo stia procedendo verso il “giusto” senso, allora dovete essere felici.
Però se avete dei momenti in cui pensate “Lavoro troppo: non ho tempo per me, non ho tempo per la mia famiglia, corro in continuazione, passo più tempo in mezzo al traffico di Milano piuttosto che con i miei amici.” “Vorrei mangiare sano, ma le cose veloci e a basso costo che posso comprare al supermercato non lo sono” “Mi tampinano di pubblicità sullo smettere di fumare, fare una vita sana, rispettare l’ambiente, ecc… Ma poi pare che facciano di tutto per contraddirsi”.
Dedicate del tempo anche su questo essere tristi, arrabbiati, spaventati… E capite che sono emozioni importanti che non possiamo far finta non esistano, e di conseguenza trascurare. È importante che voi possiate essere tristi se, per esempio, avete una vita lavorativa che non vi soddisfa. È importante che se il vostro capoufficio si lamenta in continuazione con voi, voi possiate essere tristi, arrabbiati o possiate avere paura che vi licenzi. Perché queste emozioni sono fondamentali.
Essere tristi per una perdita, un lutto o una sconfitta. Essere arrabbiati per un sopruso o un’ingiustizia. Sono emozioni che dobbiamo coltivare e che ci “dicono” molto dei nostri valori e di che direzione dare alla nostra crescita.
Protendere sempre alla felicità, dare così tanto risalto alla felicità, fa sì che quasi automaticamente le altre emozioni che noi proviamo siano di un gradino inferiore. È importante non cercare tutta questa predisposizione artificiosa per l’essere felici. Perché per essere felici ci vuole una componente anche contestuale.
È vero che siamo responsabili delle nostre emozioni, ma è un concetto molto più profondo e complesso del “puoi provare l’emozione che vuoi, basta volerlo”. Finisce una relazione d’amore? Essere tristi è umano con la U maiuscola, non possiamo fuggire da questa emozione, perché altrimenti andiamo a crearci un mondo dove deve esistere solo la felicità. Una felicità non onesta, ma una felicità che serve solo a cancellare la sofferenza. Invece la realtà è che è un mondo fatto anche di fatica, di sofferenza, di noia, di tristezza. Ciò non significa che sia giusta la “depressione”, ovviamente, ma un corso di miglioramento personale non può diventare “copriamo tutto lo schifo con un bello strato di felicità”.
Alla ricerca spasmodica della felicità, l’invito è quello di ricercare una maggior consapevolezza del contesto in cui viviamo e delle emozioni che proviamo per provare poi a gestirle.

3° rischio: imperturbabile serenità vs consapevolezza emotiva e gestione delle relazioni

rischi del miglioramento personale imperturbabile serenità


Il terzo rischio del miglioramento personale è “il rischio della serenità”. È il rischio che si ha con quei corsi o in quei gruppi eccessivamente mistici/orientali. Preciso: faccio yoga, mi piace la meditazione e apprezzo molto questa seconda ondata di amore orientale che sta attraversando l’occidente. Sembra, però, che abbiamo preso la tradizione orientale e l’abbiamo portata qui a pezzi, solo in piccola parte. Io ne conosco solo un poco di più, però mi pare che il rischio in questi contesti è di badare troppo alla serenità. Qui non dobbiamo cercare di essere esageratamente contenti e felici, ma pacatamente sereni.
C’è chi dopo 3 lezioni di yoga ha già capito come funziona il mondo. Chi sostiene di sentire un cambiamento radicale, di essersi illuminato, di aver raggiunto la serenità interiore. Qualsiasi cosa succeda fuori, dentro è sereno. Gli danno una martellata su un dito: sereno. Lo trattano male a lavoro: sereno. Trova la moglie a letto con un altro: sereno. L’input che riceviamo è “qualsiasi cosa ti arrivi da fuori, tu puoi farlo scivolare”. Succeda quel che succeda: sereno.
Non funziona esattamente così.

Tutto è sereno, tutto va bene. La prospettiva dell’eremita che non ci appartiene

Su quest’onda, questa persona comincia a pensare di ragionare come l’eremita della montagna: andare sul monte, fare un sacco di meditazione e liberarsi da ogni tipo di contatto che ha con la realtà e con gli altri. È per questo che molti vi dicono di liberarvi dalle relazioni tossiche, di non frequentare più chi crea emozioni negative.
Allora il nuovo discepolo divorzia, lascia la compagnia di amici, considera i colleghi di lavoro degli idioti che non hanno capito cosa sia la vita, va alla quinta lezione di yoga o di meditazione convinto che qualsiasi cosa possa accadere fuori, lavorando internamente dentro di sé, possa farsela scivolare addosso.
Questo è un rischio enorme. Esistono delle persone in grado di fare tutto ciò? Forse sì, non so. Forse il Dalai Lama, forse Papa Francesco, forse ci saranno delle persone altamente evolute spiritualmente che qualsiasi cosa accada fuori non perturba il loro animo. Ma come spesso dico, loro sono zen con la Z, noi siamo umani con la U: veniamo un po’ prima nell’alfabeto.
Non possiamo basare la nostra crescita personale su un concetto estremo di serenità. Due incontri fa a MeLab parlavamo con una persona che si trovava male nell’ambiente di lavoro e continuava a fare meditazione (badate bene, la meditazione e la mindfulness vanno benissimo). Ma non si possono gestire le relazioni con i colleghi di lavoro attraverso la meditazione. Attraverso la meditazione e la mindfulness si capisce che si è consapevoli della rabbia che si prova dentro, della paura, dello stress, del nervosismo, della tristezza. Ma poi è necessario acquisire delle strategie relazionali per far in modo che quelle emozioni lì non vadano a inficiare il modo di rapportarsi con gli altri. Perché se si è troppo ansiosi, magari si è troppo timidi o imbarazzati e non si riesce a dire “Oh! Dateci un taglio!”. Oppure se si è troppo arrabbiati e si sbraita, si scoppia, si urla e, così, si passa dalla parte del torto. Quindi utilizzare la consapevolezza va bene, ma per poi strategicamente entrare in relazione con gli altri.
Quindi il terzo rischio della crescita personale, quello della serenità (eccessiva) è da controbilanciare con una consapevolezza nella gestione delle relazioni.
Il sorriso sereno può essere una maschera inizialmente piacevole, ma poi sempre più pesante da portare. Se ricevete una sberla da una persona cui volete bene, anche se metaforica, è bene che voi cerchiate la vostra serenità e la serenità relazionale, ma magari passerà attraverso un’arrabbiatura iniziale, o una tristezza o una sofferenza che faranno accendere in voi la lampadina del “così non funziona”. Come faccio a gestirlo? Non posso gestirlo sempre dentro di me e basta. Se per me è importante, vado a gestirlo all’interno della relazione. Imparo delle strategie di comunicazione o di relazione per gestire le relazioni con gli altri.

I rischi del miglioramento personale. Sintesi e consigli per gli acquisti.

Ecco, mi sono un po’ sfogato. Sono stufo di leggere post dove vi invitano ad abbandonare le persone tossiche… Che poi uno pensa sempre alle persone con cui condivide maggiormente la vita e, quindi, divorzia, si licenzia o si trasferisce per poi confrontarsi sempre e solo con le 3-4 persone che gli danno ragione.
Impariamo a stare anche nel conflitto, impariamo a portarci del conflitto dentro di noi, impariamo anche a gestire le altre emozioni, a rimanere con le nostre paure, con la nostra ansia, con la nostra tristezza. Sono emozioni umane, viviamocele, è importante per poi gestirle. È faticoso certo, è per questo che non lo facciamo ed è per questo che è così facile rassegnarci o lasciarci tentare dal segreto miracoloso.
Ho parlato anche troppo, ma so che è una pensiero condiviso e conosco molta gente che in qualche modo la pensa come me. Ricapitolando, 3 rischi principali (e preoccupanti) del miglioramento personale che potete individuare per evitare libri, video, corsi dal vivo o serate:

  1. Sta puntando troppo sul successo? Sui soldi? Sull’acclamazione pubblica? Il suo tono e modo sono poi li stessi di chi lo ascolta/legge? Posso declinare quello che mi sta spiegando questo libro, questo video, quella persona, in qualcosa che ci sta con i miei valori? Quando sentite la parola “successo”, dentro di voi prendetevi del tempo per definire bene il concetto di realizzazione personale. Partite da voi stessi.
  2. Sta puntando troppo sull’essere felici? Sul non abbattersi mai? Sull’essere sempre pronti, sempre carichi? Su quanto sfigate sono le persone tristi? Se c’è solo quello o semplicemente non parla delle altre emozioni, ricordate a voi stessi che l’importanza non è il contenuto dell’emozione, quindi la felicità, ma è una sorta di processo interno che è la consapevolezza che ho del contesto esterno che sto vivendo e come questo reagisce con me stesso, e quindi che tipo di emozioni mi fa provare. A volte è meglio andare ad indagare le nostre ragioni per esser tristi o arrabbiati. Non sempre felici, ma imparate a analizzare il contesto e a vivere le vostre emozioni.
  3. Sta puntando troppo sulla serenità? Sul potere della mente che ha di ripulirsi indipendentemente da quello che succede fuori? Mi sta prospettando l’idea dell’eremita della montagna? Mi dice che posso stare tranquillamente in mezzo alle relazioni negative perché tanto lavoro dentro me stesso? Mi suggerisce di lasciare le relazioni negative? È questa la soluzione che sta portando? Allora tu focalizzati su una consapevolezza emotiva, cioè non autosuggestionarti ripetendoti “questo non mi tocca, questo non mi tocca”. No: senti piuttosto che sei arrabbiato e acquisisci delle strategie relazionali e comunicative per far valere i tuoi propositi in modo funzionale al contesto e alla relazione che vivi. Non sempre sereni, ma riconosciamo onestamente ciò che proviamo e impariamo a gestire le relazioni che viviamo.

Tutto questo per dire che all’interno della crescita personale, come ogni tipo di lavoro di miglioramento che potete fare in qualsiasi settore, il pepe, il fastidio, la fatica, il sudore sono cose ben accette, sono cose umane. Sudate, infastiditevi e non spaventatevi se dentro di voi provate ansie, paure o siete arrabbiati per qualcosa. Attraverso i nostri sguardi, il mondo ha tantissimi lati positivi, ma anche tanti lati negativi che non condividiamo. Coprirli di soldi, felicità o serenità un tanto al chilo non serve.

[P.S.: per chi desidera un approfondimento qui trovate la recensione e un approfondimento su un libro pieno zeppo di ricerche che smascherano alcuni false credenze]

Nota: “I rischi del miglioramento personale” è il 13° spunto di “15 idee per la tua mente”, un progetto estivo in cui ogni settimana propongo, sulla pagina facebook di MeLab, un argomento di psicologia applicandolo alla vita di tutti i giorni. Questo articolo è la trascrizione (quasi fedele) di una diretta facebook durante il laboratorio dello scorso anno: perdonate la sintassi, coglietene il succo e se avete delle domande ponetele sulla pagina. Ci sarà una diretta ogni mercoledì durante la quale risponderò alle domande, darò degli esercizi specifici e dei riferimenti per approfondire l’argomento.