Se ti trovi in un periodo difficile della tua vita o ritieni che un brutto periodo del passato possa rovinare il tuo futuro, alcune ricerche scientifiche potrebbero offrirti ancora qualche speranza.

Se pensarti vecchio ti ha spesso rattristato, in questo articolo vedremo che immaginarsi anziani potrebbe rivelarsi un’ottima strategia per superare i momenti difficili.

Nel video che trovi qui sotto racconto la cosa fornendo alla fine anche una tecnica immaginativa. In questo articolo, invece, approfondiamo principalmente le ricerche e le riflessioni in merito.

Ho avuto una brutta infanzia, anzi no: bellissima

È possibile cambiare idea sulla propria infanzia?

Sembrerebbe proprio di sì.

Una ricerca pubblicata nel 1981 da Dorothy Field sostiene che la metà di noi potrebbe giudicare la propria infanzia molto più favorevolmente a 70 anni che a 30.

La ricerca, infatti, ha intervistato le stesse persone in due momenti diversi della loro vita (a trenta e a settant’anni), ponendo a tutti i partecipanti la stessa domanda:

Come ritieni sia stata la tua infanzia?

All’età di 30 anni solo i 35% dei partecipanti sosteneva di aver avuto un’infanzia generalmente positiva.

Ma, posta la stessa domanda una volta arrivate a 70 anni, era l’85% delle persone a sostenere di aver vissuto un’infanzia positiva.

Significa che, almeno la metà degli intervistati all’età di 30 anni giudicava negativamente la propria infanzia e a 70 invece la ricordava positivamente.

Come è possibile che la stessa infanzia sia giudicata diversamente dalla stessa persona che l’ha vissuta?

È questa la domanda che si sono posti i ricercatori e le riflessioni che ne sono emerse potrebbero darci la speranza che il vecchio motto “lascia che il tempo faccia il suo corso” abbia le sue ragioni.

La teoria della selettività socioemotiva

A confermare le ipotesi della ricerca della Field, arrivano gli studi di Laura Carstensen e la “sua” teoria della selettività socioemotiva: la vecchiaia non è sinonimo di declino cognitivo e lamentele come spesso riteniamo, anzi, più invecchiamo più miglioriamo nelle scelte sociali e ambientali; nelle risposte allo stress o alle difficoltà; e nell’elaborazione delle informazioni negative.

Secondo Carstersen e colleghi le persone anziane attribuiscono più significato a emozioni e rapporti, piuttosto che a guadagni o oggetti materiali.

Con l’età saremo più alla ricerca di esperienze emotive, piuttosto che conquiste sociali o benessere fisico.

Assieme a un numero crescente di ricerche empiriche, la teoria della selettività socioemotiva suggerisce che il dominio delle emozioni è in gran parte risparmiato dai processi deteriorativi associati all’invecchiamento e ciò, invece, porta ad alcuni miglioramenti nell’approccio alla vita.

Anziani emozioni felicità

La memoria dei felici: il Mood congruency effect

Una delle possibili spiegazioni potrebbe anche rientrare nel mood congruency effect, ovvero quel fenomeno per cui la nostra memoria sarebbe influenzata dall’umore che abbiamo nel momento in cui ricordiamo.

Banalmente: quando siamo felici siamo più propensi a ricordare aspetti felici della nostra vita (e viceversa).

E dunque questo vuol dire che a 70 anni una persona è più felice di quando ne aveva 30 e perciò ricorda con maggior favore la propria infanzia?

Potrebbe essere. Alcune ricerche sembrano confermarlo.

Più vecchi, più felici

Un’altra ricerca (Levine e Bluck, 1997) parrebbe dimostrare che con l’età le persone riferiscono una minore intensità delle emozioni negative legate a un evento spiacevole.

Questo è valido anche quando il ricercatore non chiede esplicitamente alla persona di esprimere un giudizio su un ricordo del passato.

Schlagman, Schulz e Kvavilashvili (2006) hanno, infatti, condotto uno studio per verificare se le persone anziani affievolissero il dispiacere anche dei ricordi involontari.

Coinvolsero due gruppi, uno di anziani e uno di giovani, e a entrambi consegnarono un diario su cui annotare le esperienze delle giornate.

Dopo una settimana confrontarono gli appunti scritti da tutti i partecipanti: i diari degli anziani contenevano esperienze negative in minor numero e di minor intensità.

Tra giovani e anziani non risultarono invece differenze di percezione nelle esperienze positive.

Questo è in linea con le ricerche della Carstensen.

La spiegazione di Schlagman e colleghi è che gli anziani adottino uno stile repressivo con maggior frequenza rispetto ai giovani, cioè provino, quasi per autodifesa, ad attenuare e a evitare le emozioni e gli eventi negativi.

Come usare le distorsioni della nostra memoria autobiografica

Se hai avuto modo di guardare il video, avrai ben capito che non sono così sicuro delle tesi riportate (a me piace intendere le ricerche in psicologia più come esercizio riflessivo, che come scoperte di verità).

Anzi, sono romanticamente portato a ritenere che gli anziani siano più vicini alla saggezza che a uno stile repressivo autotutelante.

Ma per l’esercizio che ti propongo, ora non importa.

Prendiamo il dato da più fronti confermato che ad una certa età ci guarderemo indietro e saremo più felici della vita trascorsa di quanto ne siamo adesso.

Allora immaginiamo di avere settant’anni o pure cento. E immaginiamo di aver vissuto innumerevoli esperienze negli anni trascorsi.

Immaginiamo che il tempo passi rapidamente e con lui passino gli anni. Uno, due, cinque, dieci, vent’anni. Forse possiamo immaginare che ne passino anche trenta o quaranta.

Chissà a cent’anni come osserveremo il nostro presente attuale. Chissà che peso avranno le domande che ci poniamo. Chissà che intensità avranno i problemi che viviamo.

Forse per difesa o forse per saggezza, da quel tempo futuro potremmo darci dei buoni consigli.

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