OLIVER SACKS e lo psicologo che scambiò la teoria per un cappello

Ekman disgusto

Agli psicologi interazionisti di primo pelo non piace la neurologia. O meglio non piace il neurologico affiancato allo psicologico. Appena si parla di lobi temporali la reazione è quella di disgusto e tutti fanno la faccia di Ekman del secondo quadrante.

Il neurologico puzza di riduzionismo e, quindi, ci si aspetta che di lì a poco qualcuno ci venga a raccontare che l’amore per Chopin (o l’odio verso l’Inter) sia diretta conseguenza di qualche attività corticale specifica, dovuta alla presenza di un neurotrasmettitore o di un gene evolutosi nel tempo.

L’interazionista è disgustato. Il giovine interazionista sa che, muovendosi a livello di realismo concettuale, i legami causa-effetto della neuropsicologia, non sono altro che artifizi retorici tra costruzioni culturali.

“Queste costruzioni non reggerebbero nemmeno alla classica domanda: Viene prima l’uovo o la gallina?”, dice il giovine e, quindi, sostiene che non si possa scientificamente sostenere che sia l’attività neurale a determinare il pensiero. (Questa iper-semplificazione delle “neuroscienze” avviene perché spesso al giovine interazionista la neuropsicologia viene spiegata da altri interazionisti psicologi… E, ovviamente, il mio è un nesso retorico).

paradigma mecanomorfico e antropomorfico

Nel costruire la propria identità “scientifica” l’interazionista (psicologo) rifiuta la pericolosa vicinanza al neurologico, quasi come a sottolinearne le differenze paradigmatiche che ci sono tra chi si occupa di cervello e chi si occupa di mente. Tra il mecanomorfo e l’antropomorfo (questo ricorda due mostri di Megaloman).
Il giovine interazionista è attento alla cultura, alla semantica, alla simbologia, alle ragioni e ai desideri.

“Tutto ciò non può essere ridotto a qualche sostanza chimica dentro al cervello!”

L’interazionista ascolta le storie, ne entra a far parte, è attratto dalle loro incongruenze e dalla loro capacità di reggersi comunque, di macinare e costruire realtà. Prendete un deviante (genio o folle che sia) e l’interazionista sbaverà come il cane di Pavlov.

“O santo cielo, c’è qualcuno che con la sua condotta mette in evidenza una norma sociale o un accordo scientifico! Allora vedi che non è vero, ma è costruito! Non è biologicamente normale che sia così, ma è culturalmente normale che sia così.”

Accorgersi delle increspature della realtà è una conferma che tutto è costruito da interazioni sociali. È come in Matrix quando Neo vede due volte lo stesso comportamento di un gatto nero e sussurra “Déjà vu“, mentre Trinity ne capisce la gabola.

Ecco, quindi, che giungiamo a Sacks!

Oliver Sacks. Neurologo. Professore di neurologia all’Albert Einstein College of New York.
Sacks è l’increspatura della neurologia classica. Sacks racconta, umanizza, contestualizza e dota di identità specifiche le varie disfunzioni neurologiche. E lo fa anche bene.
Per capirsi, Sacks è autore di molti libri in cui sono raccontate le storie dei suoi pazienti e di come il neurologo abbia cercato di trovarci senso e soluzioni. “Risvegli” è forse il suo libro più conosciuto, e nel film che ne è stato tratto, Robin Williams interpreta proprio Sacks.
Nel dettagliare e nel restituire ad una persona (ad un nome, alla sua storia e al suo modo di intendere la realtà) una patologia neurologica, Sacks costringe gli psico-scienziati ad uscire dal loro laboratorio asettico, perché è la stessa disciplina neurologica a farlo.

Il racconto è più forte dell’esperimento.

Lo psicologo interazionista ci si getta a tuffo. “La mente è il risultato di almeno due cervelli in interazione” dice tra sé e sé (che poi per l’interazionista dirsi una cosa tra sé e sé, diventa un excursus epistemologico onanistico che manco Freud riuscirebbe a districare) e leggere in “Risvegli” che certi parkinsoniani presentano delle difficoltà a  camminare da soli, ma riescono a farlo se c’è qualcuno che cammina con loro, fa supporre che l’inadeguatezza legata alla funzione neurologica venga sopperita utilizzando per riflesso l’organizzazione cognitivo-motoria dell’altro (Salvini 1998).

“Ecco, vedi che non sta tutto nel cervello? Ma che è nell’interazione, per esempio, che questa persona cammina?”

Ma attenzione, ci sarà sempre un momento in cui la scienza “riduzionistica” farà un passo avanti. E tale passo riporterà l’incongruenza a divenire coerente. Ci saranno sempre dei neuroni specchio a fare lo sgambetto al giovine psicologo interazionista, che, non potendo stare sempre al limite del non-ancora-spiegato, sentirà l’esigenza di fuggire dal neurologico.

La sindrome di Charles Bonnet: per la serie “maledetto tuo nonno!”

Ecco quindi un altro sgambetto. Dallo stesso Sacks quando descrive la Sindrome di Charles Bonnet (il video è inserito alla fine): allucinazioni visive senza delirio. Allucinazioni visive senza pazzia o demenza.
Una roba così farebbe sbavare migliaia di psicologi interazionisti, tutti al grido di

“Visto? La disfunzione della produzione sinaptica del lobo temporale inferiore che crea un’immagine nella mente della persona non è causata da pazzia. Ci vuole un nesso al significato simbolico ed emotivo di quell’immagine, si necessita di un racconto che la contenga, una cultura…perché poi diventi pazzia! Quindi, è nell’interazione che si costruisce la percezione sia delle immagini che della devianza”

Ma poi Sacks finisce con il dire che dipende da che area viene colpita, che vi sono cellule dedicate all’Aston Martin, ai cartoni animati, che il simbolico è contenuto in un’altra area, che se viene colpita solo l’area inferiore vi è un’anarchica esplosione di immagini contenute in una sorta di database, e che un po’ di questa disfunzione ce l’ha anche lui e che probabilmente le pitture rupestri derivano da lì.
Sembrava quasi che ci desse ragione, invece…

Il giovine si toglie il cappello con la scritta “Sono un interazionista”, lo appoggia delicatamente sul tavolo e pensa “Che me ne faccio di ‘sto cappello?”

Pragmatismo

La scelta di usare le teorie interazioniste anche in campo psicologico è pragmatica. Ciò rende possibile trovare soluzioni più utili e immediate ad annose questioni metodologiche ed epistemologiche. È una scelta, a parere di chi scrive, che permette soprattutto di aumentare le possibilità di cambiamento responsabilizzando il terapeuta sulle molteplici forme d’interazione che possono essere sollecitate e intercettate nel proprio studio o nel contesto in cui lavora.

La scelta non è quella di usare una teoria come ornamento identitario, come un cappello che ci distingue, ma come una scala. Dice qualcuno. Come uno strumento da usare per salire su di un piano, per raggiungere un obiettivo e che poi, una volta arrivatici, finisca il suo servizio.

Quindi il giovine psicologo interazionista non dovrebbe occuparsi del cercare le incongruenze nelle teorie che studiano i nessi del neurologico con lo psichico, per difendere la propria identità. Dovrebbe occuparsi di queste ipotesi così come si occupa di altre: valutando come tali teorie e configurazioni di significato, possano generare forme disfunzionali di esperienza. Possano, cioè, concretizzarsi in disagio, stigma o inadeguatezza. Per non rinnegare l’essere psicologo pragmatico dovrebbe promuovere ristrutturazioni di senso lì dove ne scorga la necessità.

Vi sono persone al mondo che vengono ritenute matte perché vedono immagini che non esistono. Vengono ritenute matte perché la teoria più diffusa, fa intendere che se uno vede cose che non esistono, ha un problema cerebrale e psicologico, che sarà diffuso in altre aree oltre alla visione.

Ecco Sacks approfondisce la teoria: a volte il problema è localizzato, riguarda solo alcune aree della visione e, neurologicamente, non è collegato con sensazioni, emozioni, deliri o pensieri devianti.
Offrire a queste persone una teoria che le non categorizzi in qualche stigma sociale come la pazzia o la demenza, ma in una possibilità d’essere “normalmente” affetti da una particolare disfunzione, genera miglioramento.

L’interesse interazionista è quello di approfondire e diffondere storie che permettano alla devianza d’esser più accettabile, comprensibile e modificabile. La vita di un anziano in residenza può variare da “delirante” ad “eccentrico” in base alla diffusione di storie come queste. La neurologia dirà che son vere, la psicologia dirà che son utili. Il neurologo e lo psicologo condivideranno nel dialogo le conoscenze per rendere l’intervento di ciascuno più mirato possibile.

Morali della storia

magritte cappello identità interazionistaLurija:

Aleksandr Romanovič Lurija è un punto di riferimento per Sacks e citato da interazionisti di vecchio pelo, scriveva due tipi di testi: formali e “romanzi” biografici. I primi li chiamava scienza classica, i secondi scienza romantica. Ecco piuttosto che adolescentemente battersi all’interno del duopolio scienza forte vs scienza debole, siate profondamente romantici.

Sacks non è un interazionista:

Uno psicologo interazionista quando cita Sacks non lo fa per dimostrare di aver ragione. Lo fa per mostrare quelle increspature della cultura diffusa che spesso descrive l’essere umano come destinato alla perenne uguaglianza a se stesso.
Diffondere storie come quelle di Sacks, permette alla cultura di muoversi, non di diventare interazionista, ma l’obiettivo è quello di raggiungere la vetta, non di avere tutti lo stesso cappello.

A Novembre 2012 esce il nuovo libro di Sacks sulle allucinazioni:

Delle anticipazioni si trovano qui

ps: i cappelli mettiamoli solo se c’è freddo

  1. Per un assaggio su i famosi neuroni specchio con gusto costruttivista si suggerisce questo articolo di Carmelo Di Mauro (i cugini costruttivisti sono più bravi degli interazionisti nel parlare di cervello)
  2. Il sottotitolo “maledetto tuo nonno!” è riferito al fatto che Charles Bonnet descrisse la sindrome (che poi avrebbe preso il suo nome) studiando i sintomi del nonno malato
  3. Il video di Sacks sulle Allucinazioni Visive e la Sindrome di Charles Bonnet è del 2009.  Per avermelo fatto conoscere, ringrazio Alessandro Lombardo (collega né interazionista, né giovine 😉 )