Qual è la tua strada? Destino, fato e realizzazione di sé

Oggi vi parlo di quel concetto che può essere definito destino. Spesso mi avete sentito consigliare di inserire gli obiettivi all’interno della propria strada e all’interno del proprio modo di essere. Infatti è inutile porsi degli obiettivi che sono fuori dal nostro modo di essere, cioè non coerenti con chi riteniamo e sentiamo profondamente di essere: è inutile cercare di diventare i migliori avvocati del mondo, se ci annoia il codice civile e sogniamo da sempre di essere un pittore. Potremmo fare gli avvocati comunque, ma non è nell’indossare la toga che dovremmo ricercare la nostra piena realizzazione.
Molto spesso le vite vengono rovinate da obiettivi imposti da noi stessi o che sentiamo come imposti da altri (es: genitori, coniugi, insegnanti, ecc) e ciò a discapito della nostra complessità d’animo e a ciò che, magari solo a volte, sentiamo d’esser vocati a fare.
Ed è su questi concetti così profondamente radicati nelle culture di ogni civiltà che oggi vorrei porre la vostra attenzione.
Chi siamo veramente? Per quale motivo siamo qui in questo mondo? Qual è il lavoro giusto per ognuno di noi? Perché non sento un fuoco bruciare per un talento, una passione in particolare? Chi lo sente è un fortunato perché può dedicare la sua giornata alla sua passione e può, volendo, farla diventare anche un lavoro.
Se nasco salice non divento quercia
Riprendendo l’esempio dell’avvocato e parafrasando Jung e Hillman, se uno nasce salice piangente e vuole essere a tutti i costi una quercia, passerà una vita di sforzi e lamentele. Magari l’idea di dover essere una quercia l’ha copiata da altri oppure altri gliela hanno suggerita, ma sarà lui a dirsi: “Devo essere più robusto, più grosso… Devo produrre più ghiande” Non accorgendosi che è un salice piangente. Un salice piangente che si sforza di essere quercia non sarà mai un grande salice piangente.
Come troviamo la nostra strada allora?

Proviamo ad ascoltare anche le persone che ci guardano da fuori, che ci conoscono un po’ meglio, che ci vogliono bene (ma anche no). Magari ci fanno notare i nostri rami flessibili, la nostra eleganza in primavera, ci raccontano del verde intenso di quando le nostre piccole foglie escono all’aria, oppure di quel modo di accarezzare il vento che nessun altro albero ha, il nostro saper rigare il fiume e nascondere gli amanti che si distendono al nostro segreto riparo. La flessibilità dei nostri rami, così utile per chi la sa intrecciare, diventa un gioco in mano dei bambini.
Invece, per noi che vorremmo essere quercia, avere dei rami flessibili è un’offesa terribile.
Platone e il mito di Er: se scegli un destino, non puoi cambiarlo

Da sempre e da ogni angolo del pianeta si sono sviluppate teorie sul nostro destino.
James Hillman, nel suo “Codice dell’anima”, ipotizza la teoria della ghianda in cui approfondisce un concetto caro al suo maestro Jung: il daimon (che ha origine almeno con Socrate).
L’idea è antica: il nostro destino, cioè ciò che noi siamo chiamati ad essere e fare, ci viene ricordato da un’entità semi divina che possiamo andare a contattare attraverso rituali (vedi stati alterati di coscienza) o attraverso le contemplazioni lungo la nostra vita.
È un’idea che troviamo negli animali totem dei nativi americani, in ogni cultura sciamanica, nel karma orientale, fino alle semi-divinità Ka e Ba dell’antico Egitto.
Citando nuovamente Hillman, un altro esempio di dissertazione sul destino è il mito di Er, che Platone inserisce, non a caso, a conclusione della sua “Repubblica”.
Er era un guerriero, un combattente dell’antica Grecia, che muore in battaglia da valoroso.
Come da usanza deve essere bruciato sulla pira (quella catasta di legno in cui vengono bruciati i corpi dei cadaveri).
Prima di questo, però, ci sono dei rituali che devono essere seguiti per trattare e preparare il corpo per la grande cerimonia pubblica. E tali rituali durano per qualche giorno.
Prima dell’accensione del rogo Er si sveglia, risorge e racconta a tutti quello cui è stato chiamato a raccontare. Racconta tutto quello che è successo nell’aldilà: di essere stato portato nella valle di fronte a quelli che oggi chiameremo inferno e paradiso, rispettivamente un grandissimo abisso sotto terra e una grandissima scala verso il cielo.
In quel campo le anime, a seconda di quello che avevano fatto in vita, venivano divise e mandate giù negli inferi o su nel paradiso. Chi andava sotto terra doveva espiare le proprie colpe 10 volte di più rispetto al male che aveva recato in vita, nello stesso modo le buone azioni venivano premiate in paradiso.
Dopo essere stati all’interno di queste due situazioni, una paradisiaca e una infernale, le anime venivano richiamate in una valle di mezzo per essere in qualche modo reincarnate in una nuova vita.
Qui le anime venivano presentate da un araldo (un semidio) di fronte alle 3 moire, tessitrici della tela del destino.
Il destino di ogni essere umano è teso nel filo di questa tela. Ogni anima che si presenta è chiamata a scegliere uno di questi destini, che altro non sono che le innumerevoli possibilità di reincarnarsi.
Platone stesso ci avverte di fare attenzione alla vita che si sceglie in quel momento, raccontando che molti sceglievano la vita in base alla vita precedente.
Se nella vita precedente un uomo aveva avuto un sacco di sfortune, era stato povero e maltrattato, allora quell’uomo sceglieva di essere ricco e potente.
Se era stato un uomo d’avventura, sceglieva invece di essere un uomo banale.
Platone ci fa riflettere su come il nostro comportamento non sia legato alla nostra indole, ad esempio racconta di un uomo che, arrivando dal paradiso per una vita di buone azioni, di fronte all’araldo abbia scelto di essere un tiranno: infatti le sue precedenti buone azioni non venivano da lui ma dal suo contesto di vita che non lo ha mai messo di fronte a difficoltà e sofferenza.
Immaginate, dunque, tutte queste anime che si trovano una ad una a voler scegliere che tipo di vita fare. Scelta la vita, le moire assegnano ad ogni anima un daimon: uno spirito che faceva in modo che il destino potesse essere compiuto. Faceva in modo che ognuno rimanesse in quella strada.
Non sarà un dèmone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliervi il dèmone. Il primo che la sorte designi scelga per primo la vita cui sarà poi irrevocabilmente legato. La virtù non ha padrone; secondo che la onori o a spregi, ciascuno ne avrà più o meno. La responsabilità è di chi sceglie, il dio non è responsabile
Una volta scelto il daimon, le moire cominciano a tessere il destino che sarà avvolto in un fuso e Atropo, moira del futuro, lo renderà inalterabile.
Dopo l’assegnazione, le anime vengono portate a bere nel fiume Lete, dove dimenticano tutto ciò che è successo fino a quel momento, anche la scelta della nuova vita. Solo il daimon ricorda il destino e guiderà l’anima sulla sua strada una volta nata. Ad Er, invece, viene vietato di bere l’acqua del fiume proprio per poter raccontare il tutto al suo risveglio e rammentarci la nostra responsabilità della nostra anima per quella scelta dimenticata. (Potete leggere qui il mito di Er di Platone)
Come mi realizzo? Ascolta il tuo dàimon.

Non so se ci crediate o meno, al destino. Io credo che ognuno possa creare il proprio, ma fino ad un certo punto: ci sono limiti culturali, sociali, geografici, storici.
Ma all’interno di questi limiti, il gioco è nostro.
Dall’altra parte, bisogna riconoscere che oltre a quello che la cultura ci ha infuso, la condizione socio economica in cui ci si trova, i genitori e quello che ci hanno insegnato, è indiscutibile che ci siano storie (o miti) in tutto il mondo che prevedono per ciascuno di noi un destino peculiare. Come se dentro di noi ci fosse un seme destinato a germogliare. Come se ognuno avesse dei talenti propri, delle possibilità solo sue da poter evolvere e sviluppare durante la sua vita.
In molti momenti della vita si è di fronte a più scelte. Cosa faccio? Come mi realizzo? Cosa significa realizzarsi? Avere più soldi, vivere in una grande città? Avere più like? Essere riconosciuto? Essere gentili? Vestirsi come si vuole?
Molto spesso le stesse domande se le fa un imprenditore o un libero professionista: per che cosa mi caratterizzo? Su che prodotti punto? Quali sono i valori della mia azienda? Qual è il potenziale nascosto del mio servizio?
È un momento in cui percepiamo e ci assumiamo le responsabilità delle nostre scelte.
Anche lo stesso Platone sottolinea quanto il destino non lo scelga il daimon, ma l’anima umana. È l’uomo che sceglie il suo destino e tale scelta può essere fatta anche durante la propria vita: cercando di cogliere e ascoltare i segnali del nostro daimon.
Sviluppare se stessi significa dunque evolversi alla ricerca dei propri valori, delle proprie guide e delle proprie destinazioni.
Non significa seguire una strada indicata da altri, ma nemmeno seguirne una opposta rispetto a quella suggerita.
Cioè molti vengono condizionati al contrario: proprio perché i genitori gli hanno sempre detto di fare “bianco” loro fanno “nero”, per poi giungere troppo tardi alla consapevolezza che le loro scelte sono state vincolate comunque dai propri genitori e, magari, il loro “destino” era di fare “verde”.
Come non farti condizionare: esercita la tua consapevolezza.
Fare scelte non condizionate è molto difficile (se non impossibile). Forse è più facile farci condizionare da tantissimi e poi fare la nostra scelta, che sarà condizionata per forza di cose.
Più ampliamo le nostre possibilità di scelta, più andiamo a conoscere e a farci influenzare da più persone, più sarà facile che la scelta che faremo non sarà così tanto condizionata da una o due direzioni chiave.
Per fare questo ci sono dei riti sciamanici che prevedono di entrare in una sorta di stato di ipnosi ed entrare all’interno di una caverna e farsi guidare all’interno del mondo dell’oro, se non sbaglio, per trovare il proprio animale totem.
Ecco io credo che la meditazione mindfulness possa essere una buona modalità: la pratica della consapevolezza fa sì che dopo un po’ di esercizio possiamo percepire le nostre emozioni e i nostri pensieri come qualcosa di esterno, di non così vincolante. In quel modo potremmo percepire la vita o la realtà con uno sguardo un po’ più ampio (se non neutro, che è una parola che non mi piace).
E in questo modo, se il mito di Er fosse vero, quando l’Araldo ci mette di fronte a tutte le vite possibili immaginabili da poter scegliere per il futuro, noi potremmo praticare un momento di consapevolezza e andare a scegliere non in base al nostro passato, ma in base a quello che generalmente riteniamo la soluzione migliore, in una scelta scevra da condizionamenti.
E questo lo possiamo fare in ogni singolo momento della nostra vita. Entrare in uno stato di consapevolezza e fare una scelta delle azioni che abbiamo di fronte non in base al nostro passato, non in base alle possibilità, non in base alla colpa o alla responsabilità di qualcun altro, ma assumendoci la responsabilità per vedere se quello che stiamo facendo rientra all’interno di una strada più ampia, che poi è la nostra strada.
Nota: “Destino, strada e realizzazione di sé” è il 9° spunto di “15 idee per la tua mente”, un progetto estivo in cui ogni settimana propongo, sulla pagina facebook di MeLab, un argomento di psicologia applicandolo alla vita di tutti i giorni. Questo articolo è la trascrizione (quasi fedele) di una diretta facebook durante il laboratorio dello scorso anno: perdonate la sintassi, coglietene il succo e se avete delle domande ponetele sulla pagina. Ci sarà una diretta ogni mercoledì alle 18:00 durante la quale risponderò alle domande, darò degli esercizi specifici e dei riferimenti per approfondire l’argomento.Intanto andate a fondo pagina per ricevere gli aggiornamenti in anteprima.