Esprimi le tue emozioni
Vi faccio un breve riassunto dell’incontro di mercoledì (se vuoi vedi nota in fondo). Qui a Melab continuiamo a parlare di emozioni. Come abbiamo già detto (vedi qui) le emozioni è meglio viverle che spiegarle e per questo il laboratorio è molto esperienziale: le persone portano non solo i propri vissuti, non fanno solo delle domande, non si spiega “cosa dovresti fare”, ma si fa.
Lavoriamo molto con corpo, voce e mimica; facciamo giochi, simulate e role playing. Tutto ciò è difficile da rendere qui (in diretta su facebook. ndr) però c’è ancora qualcosa che si può condividere e che può servire.
Ieri abbiamo lavorato molto sull’espressione delle emozioni. Vi ricordate le sette emozioni dello scorso incontro, le sette emozioni di Paul Ekman, quelle universali chiamate così? Ecco, abbiamo cercato di esprimerle fisicamente: nella postura, nei movimenti corporei e attraverso la mimica facciale. L’abbiamo fatto molto bene e abbiamo riso parecchio, però sono emerse delle considerazioni interessanti.
Perché non esprimiamo le nostre emozioni
In questi momenti di interpretazione emotiva viene fuori la parte attoriale che c’è in me e ieri insistevo con i presenti affinché tirassero fuori le loro emozioni, si sciogliessero un po’ e provassero ad interpretare al meglio le varie parti. Ovviamente, le persone che vengono al MeLab, non hanno fatto teatro e non sono così avvezze nel mettersi in cerchio ed esprimere la mimica facciale della paura, della sorpresa o quant’altro. Trovano delle difficoltà, si imbarazzano, ridono, non si concentrano o razionalizzano. È normale e fa parte del gioco, però il gruppo di quest’anno è particolarmente “razionale” (o “dialogante” se volete), quindi preferisce dissertare piuttosto che agire… Ma io li faccio sgambettare lo stesso 😀
Comunque… Ragionando poi sulle difficoltà è emerso un argomento che vorrei condividere con voi. Cioè quanto abbiamo difficoltà nell’esprimere le emozioni.
In modo particolare, se riflettiamo sulle emozioni principali che proviamo durante la giornata, ci accorgiamo che alcune emozioni, come la rabbia, vengono espresse raramente di persona. Siamo trattenuti, anche dal punto di vista sociale, a non arrabbiarci con gli altri: per fortuna, siamo portati a non insultare in modo veemente, non picchiare nessuno, non aggredire fisicamente qualcuno, eccetera… Questo perché ci sono dei vincoli culturali, sociali, legali, eccetera.
Qualcuno del gruppo ha fatto notare, però, che questo non capita solo con la rabbia, capita anche con la paura. Quando ci spaventiamo, se siamo in pubblico, a meno che non sia proprio uno spavento enorme, riusciamo a volte a controllare la nostra paura. Gli esempi possono essere molti: pensate alle varie difese dell’immagini della virilità o del machismo; o pensate ai ragazzi e ragazze che si mettono in mostra sfidando i pericoli; oppure ai bambini che vogliono essere grandi; o all’orgoglio di chi sta difendendo un valore di fronte ad un’altra persona da cui è minacciata.
Esempi analoghi possono essere fatti anche per altre emozioni, come il disprezzo o il disgusto, di cui riusciamo a controllare e reprimere l’espressione di fronte alla persona o alla situazione che le provoca.
Per timore, imbarazzo, cinismo o altro cerchiamo di non manifestare le nostre emozioni. Questo accade anche se il nostro corpo e il nostro volto le lasciano intravvedere per brevissimo tempo – e – anche se ciò che non abbiamo espresso di persona, lo andiamo poi a “sfogare” nei nostri profili social.
È più facile essere tristi?
In gruppo abbiamo riflettuto che tutto questo non avviene allo stesso modo con la tristezza. È più facile che nella società d’oggi si esprima la tristezza piuttosto che la rabbia, o piuttosto che la gioia, per esempio.
Forse esser tristi ci viene facile perché fondamentalmente è esprimere un’emozione che – almeno inizialmente – non crea un disagio sociale molto forte.
Nel senso che in famiglia, se uno è triste, si mette sul divano o si butta giù a letto e non rompe le scatole a nessuno. Se è arrabbiato, invece, darebbe molto più fastidio.
Esprimere ad una persona il proprio disprezzo probabilmente genererà qualche reazione che dovremmo affrontare in qualche modo, esprimere invece la nostra tristezza potrebbe facilitare che l’altro ci dia del conforto e sia con noi più disponibile.
Inoltre la tristezza non è un’emozione negativa, come le considerate voi. La tristezza è di grande utilità. Soprattutto in passato era fondamentalmente. Dopo un’aggressione o dopo uno scontro con un nemico da cui ne fossimo usciti perdenti, per esempio, essere tristi ci permetteva di distenderci, non rompere più le scatole a nessuno, ma anche di curare le nostre ferite e rigenerare la nostra energia, riflettere su quello accaduto, correggere eventuali errori oppure accettare il fatto che comandasse qualcun altro.
Come detto (vedi ancora qui) le emozioni non sono negative o positive, anche se comunemente si ritiene che sia meglio provare gioia che tristezza. Ma è sempre vero?
Perché non vogliono che tu sia felice?
In gruppo abbiamo notato che non esprimiamo nemmeno molto la gioia. Non so se ve ne siate accorti anche voi. Qualcuno ha detto che probabilmente troviamo difficoltà nell’esprimere la nostra gioia perché essere felici può dar fastidio agli altri, qualcun altro ha aggiunto come le persone possano essere molto invidiose delle gioie altrui. A volte semplicemente la gioia è un’esplosione di energia e magari persone che, in quel momento, non ne condividono le ragioni, possono dissentire.
Immaginiamo un bambino sempre contento. Il piccolino può far sorridere la mamma, il papà, i nonni per un po’… Ma dopo un po’ di tempo, quando gli adulti devono lavorare, sistemare la casa, discutere di argomenti importanti… Avere un bambino sempre energicamente felice rompe anche le scatole 😀
Quindi, in qualche modo, anche durante la nostra infanzia, abbiamo imparato a contenere la gioia o darne un’accezione negativa, addirittura a ritenere che non meritiamo di essere troppo felici: “Ma cos’hai da essere sempre contento te?!” “Ma cosa ridi dopo tutto quello che hai combinato?!” “Ma non ti vergogni?” “Il riso abbonda nella bocca degli stolti”.
Questo però è una fregatura. Infatti è importante esprimere le nostre emozioni e intendo proprio esprimerle fisicamente e vocalmente. Ed è quello che abbiamo fatto un po’ a MeLab l’ultimo incontro e quello che suggerisco anche a voi: cercate il modo per esprimere le vostre emozioni anche fisicamente senza ledere al contesto o alla persona che avete di fronte.
Per esprimere le tue emozioni, ascolta il tuo corpo.
Essendo le emozioni (anche) un moto fisico, abbiamo capito come il nostro corpo “esprima” attraverso postura, gesti, sudorazione, micro movimenti, tono di voce e molto altro ancora, emozioni che stiamo vivendo e di cui, spesso, non siamo pienamente consapevoli (ricordate: le emozioni si sono evolute per i loro effetti di sopravvivenza, non per le loro spiegazioni razionali; quindi essere consapevoli di un’emozione è cosa necessaria solo nel mondo moderno immerso in cultura e linguaggio).
Il suggerimento è quindi quello di cominciare a “sentire” durante la vostra giornata come fisicamente si esprimano le vostre emozioni. Osservate e ascoltate il vostro corpo come si osservavano i telegrafi un tempo.
L’esempio: rabbia e segnali corporei
Anche se a voi in quel momento non sembra, il vostro corpo potrebbe dirvi che siete arrabbiati: una tensione per esempio sui pugni o sulla parte superiore del corpo, un rossore in volto accompagnato da una strana sensazione di calore, un irrigidimento della muscolatura della mandibola, le labbra che si assottigliano… Potrebbero essere un inizio di espressione di rabbia. Come ho detto la volta scorsa quando provate rabbia potete gestire la vostra emozione nel modo in cui meglio ritenete, sempre però tenendo a mente il motivo e la ragione per cui vi siete arrabbiati. Questo vi permetterà di focalizzare la mente sull’obiettivo iniziale (e non quello della “rabbia”) e trovare una strategia che non vi faccia passare dalla parte del torto per raggiungerlo (guarda questo video “Soddisfa la tua rabbia” in cui ne parlo).
Come percepire i segnali corporei influenza le nostre emozioni
Già in passato William James (uno dei massimi pensatori a cavallo tra ‘800 e ‘900) riteneva che ciò che noi definiamo emozioni, non siano in realtà che delle elaborazioni cognitive e culturali di alcune reazioni fisiche e fisiologiche all’ambiente. Detto più semplicemente quella che comunemente viene definita come espressione fisica dell’emozione in realtà la precede e ne è la “causa”: ridiamo e quindi siamo felici e non viceversa.
In questi anni numerose ricerche scientifiche vanno a convalidare la teoria di James, eccone alcune
3+1 esempi di ricerca sull’importanza dell’espressione delle emozioni
- Gli psicologi Fritz Strack, Leonard Martin e Sabine Stepper hanno fatto mettere a delle persone una matita tra i denti, in modo che dovessero tirare i lati della bocca, andando a stimolare quei muscoli che sono dell’espressione del sorriso (che, uniti poi alle “zampe di gallina” dell’occhio strizzato rappresentano l’espressione “veritiera” di una persona felice). Ad un altro gruppo, invece, è stato chiesto di tenere la matita tra le labbra in modo che mimassero il “broncio” (che assieme al sollevamento e il corrugamento della parte centrale delle sopracciglia rappresenta la mimica della tristezza). Ad entrambi i gruppi così conciati i ricercatori hanno fatto vedere dei cartoni animati divertenti. Hanno scoperto che chi era “costretto” a mantenere il sorriso considerava le scene che stava vedendo molto più divertenti rispetto a chi invece tenesse artificialmente il broncio (F.Strack et al. Inhibiting and facilitating conditions of the human smile: a nonobrusive of the facial feedback hypothesis, Journal of personality and social psychology, 1988, pp.678-777).
- Diverse ricerche mostrano i danni psicologici degli interventi da botox. Per esempio le persone che usano il botulino per ringiovanire l’aspetto del proprio volto, spesso bloccano quei micro movimenti delle espressioni che causano le rughe del volto. Il problema non è solo comunicativo per gli interlocutori (che non percependo la mimica facciale non capiscono a fondo le emozioni di queste persone che risultano, quindi, più distanti, artificiose o strane), ma il problema è principalmente nel vissuto della persona stessa: non poter muovere la muscolatura facciale fa sì che l’emozione che provata sia di intensità minore e che non si riesca a decodificare nemmeno l’emozione altrui, essendo, “realmente meno empatici”. (Vedi: i lavori di Judith Grob, della SISSA, di Baumeister, Papa e Foroni o di David Neal).
- Lo stesso vale per quanto riguarda la postura o il movimento. Possiamo immaginare la postura di una persona molto felice che guarda il sole risplendere, con le braccia al cielo, le gambe divaricate, il petto in fuori e con testa e schiena ben ritte, oppure una persona molto triste curva su se stessa e con le braccia a penzoloni lungo il corpo. Uno studio di Tomi-Ann Roberts dimostra (con delle interessanti differenze tra generi) come mettere artificiosamente delle persone in posture “felici” o “tristi” durante compiti distraenti, facesse valutare a tali persone il proprio umore in modo concorde al loro corpo: posture felici corrispondevano ad descrizioni felici del proprio stato d’animo. In più ricerche e in università differenti, Peter Borkenau, Sara Snodgrass e Sabine Koch dimostrano come movimento, gesti, camminate, strette di mano e danza influenzino le nostre emozioni: movimenti felici producono emozioni di felicità.
{Mentre rileggo la sbobinatura, per rafforzare l’importanza dell’espressione fisica delle emozioni, riporto anche il famoso paradigma “still-face” (faccia-immobile) proposto da Edward Tronick e collaboratori. In sostanza il gruppo di ricerca attraverso più esperimenti ha dimostrato quanto fin dai primi 6 mesi di vita il neonato necessiti di un’interazione mimica con la madre e, in assenza di tale espressività (appunto una faccia materna “immobile”) il neonato cerchi di riattivare il flusso comunicativo con svariati tentativi di mimica facciale [la citazione è dovuta alla lettura di un articolo di Pattini e Rizzolati su Psicologia Contemporanea]}
Questi, insieme ad altri esperimenti che sono stati fatti, dimostrano – o vogliono dimostrare – quanto il percepire un feedback muscolare del nostro volto o del nostro corpo rafforzi o generi l’emozione che stiamo provando.
Come detto, qui non è la sede per valutare ciò che sia vero, ma semmai ciò che sia utile… Quindi ecco i consigli per Natale.
Consigli per un Natale felice
Se siete molto tristi in queste vacanze natalizie (la diretta era di quel periodo ndr) perché anche voi siete contrari a questi luccichii, a queste canzoncine di Natale che ci vogliono tutti più buoni e più contenti in questo bellissimo mondo, invece voi siete senza compagna o compagno, in un periodo triste della vostra vita e non avete nemmeno un regalo sotto l’albero, ecco mettetevi una bella postura felice, fate il vostro sorriso felice e questo aumenterà di un po’ la vostra felicità! 😀
Ovviamente questa è una battuta ironica, io ritengo non si possa costruire così un’emozione, però ascoltare, osservare e allenare meglio il vostro corpo con questo tipo di lenti aumenterà la vostra consapevolezza emotiva. In questo modo, quando vi capiterà durante una banale giornata di provare delle emozioni, ne avrete maggiore consapevolezza. E se vi accorgete che l’emozione che state provando è un’emozione che vi gusta, potete enfatizzarla ancor di più enfatizzando fisicamente ciò che provate (postura, gesti, movimenti, voce, ecc).
Quando si spiega come “allenare un’emozione” si fa sempre l’esempio della felicità, ma come abbiamo già visto può essere molto utile allenare la rabbia, la paura o la tristezza… Però visto che siamo a Natale e la Coca-Cola vuole che siamo tutti più buoni e più generosi, facciamo l’esempio della felicità: almeno per oggi quando uscite e vedete un piccolo input che vi genera un po’ di felicità, accorgetevene e siate felici. Aumentate la vostra espressione facciale, curate la vostra postura e i vostri movimenti in modo che la felicità possa stapparsi in tutti voi 😉
Nota: “Esprimere le emozioni” è l’11° spunto di “15 idee per la tua mente”, un progetto estivo in cui ogni settimana propongo, sulla pagina facebook di MeLab, un argomento di psicologia applicandolo alla vita di tutti i giorni. Questo articolo è la trascrizione (quasi fedele) di una diretta facebook durante il laboratorio dello scorso anno: perdonate la sintassi, coglietene il succo e se avete delle domande ponetele sulla pagina. Ci sarà una diretta ogni mercoledì durante la quale risponderò alle domande, darò degli esercizi specifici e dei riferimenti per approfondire l’argomento.