Gestire la relazione nonostante la rabbia.

Ieri a MeLab abbiamo fatto un’analisi testuale di un’interazione che tornerà utile anche a voi per gestire quei momenti in cui vi arrabbiate durante una conversazione rischiando di rovinare tutto, perdere le staffe o chiudervi a riccio subendo la situazione.
Siamo verso la fine del corso e cominciamo ad avere gli strumenti per riuscire ad analizzare una comunicazione: ogni partecipante può proporre una situazione relazionale più o meno difficile, la scriviamo su una grande lavagna e cominciamo ad analizzarla per poi costruire le soluzioni alternative. È l’invito che faccio anche a voi: scrivete e analizzate una vostra interazione difficile.
Vediamo prima qualche spunto per analizzare uno scambio comunicativo che vi ha fatto arrabbiare.

La differenza tra contenuto e processo comunicativo

Meglio analizzare i processi comunicativi indipendentemente dai contenuti per riuscire a utilizzare meglio le dinamiche relazionali. Mi spiego meglio: molto spesso noi ci arrabbiamo per un “contenuto”, che può essere valido o meno, ma la soluzione della diatriba e dell’aspetto emotivo può avvenire gestendo il “processo” comunicativo. In un corso di formazione come MeLab è inutile essere tutti d’accordo nel dare ragione a chi si arrabbiato per una giusta motivazione (contenuto), ci concentreremo affinché questa persona riesca ad acquisire delle competenze comunicative per far valere le proprie ragioni durante la conversazione (processo).
Quello che facciamo a MeLab, quindi, è analizzare una comunicazione dal punto di vista dei processi, detto banalmente: all’interno di una comunicazione le persone possono giocare diversi ruoli, diverse posizioni e possono modificare le loro posizioni durante l’interazione.
Immaginate per esempio che una conversazione a due possa essere vista come una partita di tennis: le persone possono giocare entrambe da fondo campo o entrambe invece sotto rete, entrambe di solo rovescio, entrambe di dritto, incrociare, correre, alternare il ritmo, eccetera.
Queste dinamiche possono essere rintracciate anche all’interno di una comunicazione, dove l’argomento della conversazione – appunto il contenuto – altro non è che la pallina che si muove da un lato all’altro del campo.

Dinamiche ed espressioni della rabbia

gestire la rabbia nella relazione di coppia

Immaginiamo una persona arrabbiata che inizi una conversazione con un altro interlocutore. La sua posizione sarà di attacco e l’interlocutore probabilmente potrà assumere due posizioni: o di difesa e quindi si chiude a riccio, oppure di contrattacco rispondendo anch’egli con rabbia.
Possiamo aver immaginato una delle classiche situazioni stereotipate in cui la rabbia si manifesta palesemente (es: volume di voce alto, voce roca o graffiante, aggressività nei contenuti verbale, denti digrignati, petto gonfio, braccia che gesticolano con movimenti ampi e a scatti, eccetera. Si veda questo articolo).
Come sappiamo, però, le relazioni umane sono molto complesse e sono gestite da regole sociali che evitano che la rabbia si dimostri in modo così palese. O almeno riducono notevolmente i casi in cui la rabbia sfoci in simili “scenate”.
Le situazioni più comuni in cui sperimentiamo rabbia sono per lo più dovute a frecciatine, cambi di tono, piccole espressioni facciali oppure accenti posti in alcune parole chiave di una frase.
Questo complica le cose, perché sentiamo chiaramente crescere in noi l’emozione, ma allo stesso tempo la conversazione non è esplicitamente sul binario dello scontro e, quindi, per rispettare il processo comunicativo, non diamo sfogo alla nostra rabbia, “mandiamo giù il rospo” che probabilmente ci accompagnerà ancora per un po’ di tempo.
Spesso quindi, la nostra rabbia, non espressa durante la conversazione, crea una sorta di dialogo interno caratterizzato da un continuo rimuginare sulla cattiveria altrui e/o la nostra debolezza. Questo, come alcuni di noi sanno bene, è anche l’avamposto dell’insorgere di più disturbi psicosomatici.

Consapevolezza, comunicazione ed emozioni

Essere consapevoli delle nostre emozioni è la chiave per uscire dal tipo di situazioni in cui di quello che proviamo (rabbia) ha un’intensità molto più elevata rispetto alla nostra comunicazione.
Riconoscere la rabbia, come abbiamo detto in passato ci permette di indirizzare subito il dialogo interno nel momento stesso della conversazione e favorire la costruzione di una strategia per affrontare la situazione. Riconoscendo di essere arrabbiato, sarò più consapevole del motivo particolare della mia rabbia e, raggiungere la soddisfazione di quel motivo, diventerà l’obiettivo della mia comunicazione.

Alla diplomazia preferite la chiarezza dell’obiettivo

Non significa essere pacati e gentili. Appena “viene su la rabbia”, per regola sociale, cerchiamo di contenerla e di essere diplomatici. Con la diplomazia però andiamo a perdere la chiarezza comunicativa (stiamo attenti al processo e non al contenuto) e in questo modo il messaggio arriva “sporco” al nostro interlocutore che non capisce né cosa intendiamo, né la ragione della nostra rabbia. Oppure, se in malafede, può furbescamente giocare proprio sulla vaghezza della nostra comunicazione e sui nostri modi educati, per svicolare “educatamente” la nostra richiesta.
Essere bravi a comunicare non significa essere sempre buoni, pacati e sereni, ma nemmeno essere arroganti e aggressivi. Significa avere chiaro l’obiettivo del nostro comunicare e chiara la strategia della comunicazione.
Vediamo ora una strategia che potete usare per migliorare sia la vostra consapevolezza emotiva che la vostra efficacia all’interno di un’interazione in cui provate rabbia.

Usare la tristezza al posto della rabbia

Se potessimo vedere un video rallentato del flusso delle nostre emozioni, noteremo come in molte occasioni prima della rabbia noi proviamo un’altra emozione: la tristezza.
Pensateci: è una cosa che ci ferisce che ci fa arrabbiare. È un’aspettativa delusa, una mancanza di rispetto, un’offesa verbale, eccetera.
Di fronte a tale “ferita”, noi passiamo al contrattacco non parlando del fatto che ci sentiamo feriti, ma cercando, in qualche modo, di ricambiare il gesto e ferire l’altro a sua volta.

Per esempio. Marito che torna a casa stanco da lavoro per ora di cena. Moglie alle prese con: ritorno da lavoro, lavatrice, figli appesi a mo’ di scimmie, tavola da preparare… sta cucinando. Il marito va verso la moglie, le sorride dolcemente, alza un coperchio di una pentola e poi dice “Ma non è ancora pronto?” e la moglie, appoggiando per sicurezza il coltello, esplode in “Ma perché non cucini tu, invece di farti i fatti tuoi come sempre?!?! Chi credi che sia?!? Che non te ne frega niente degli altri?!” E lui “A me non me ne frega niente?! Ma se mi faccio il mazzo 12 ore al giorno per voi! Mi alzo alle 6 ogni mattina e quando torno a casa sembra sempre che sia morto qualcuno!” E via la sfuriata.

Sfuriata che non aiuterà alla moglie di essere più rispettata per ciò che fa, ma che la farà passare come “esaurita” o “perennemente arrabbiata” oppure, ben che vada, farà in modo che il marito ne abbia paura (che, per quanto efficace, non è il miglior modo per ottenere rispetto all’interno di una relazione di coppia).
Ma a volte, come detto, il contesto e i nostri ruoli non ci danno modo di ferire l’altro.

Facciamo un esempio. Siete pieni di lavoro, scartoffie ovunque e una pila di cose da fare sommerge la vostra scrivania. Entra il capo e vi dice “Per domani devi assolutamente svolgere la pratica Rossi” e vi mette una nuova cartellina sopra le altre cento che avete sulla scrivania. Dentro di voi scoppia la rabbia come se ci fosse un piromane con il lanciafiamme e vi esce una frase stizzita del tipo “E quindi Verdi lo chiami tu per dirgli che non ce ne frega niente?”. Lui si gira e con tono fermo chiede “Scusa?” e a voi esce “Va bene: faccio io, poi però non lamentarti”. Lui esce dal vostro ufficio e voi mordete l’astuccio degli occhiali, emettendo strani suoni gutturali agitando braccia e dito medio al cielo.

Anche qui: il nostro sfogo di rabbia non porterà nessun giovamento all’organizzazione del nostro lavoro, anzi, potrebbe incrinarla maggiormente e potremmo esser visti come svogliati o poco inclini agli interessi dell’ufficio.
In situazioni in cui è “inutile” arrabbiarsi, cioè in cui mostrarsi aggressivi, minacciosi o altro non porta benefici perché o sono gli altri ad avere il “coltello dalla parte del manico” oppure la relazione è una relazione affettiva importante (es: vita di coppia; rapporti di lavoro con superiori; relazioni con istituzioni tipo Poste, Uffici Pubblici, Forze dell’ordine, eccetera) è meglio usare la tristezza e le sue sfumature.
ritengo importante soprattutto parlando di consapevolezza emotiva, è andare un po’ a scavare i motivi per cui anche ci siamo arrabbiati e molto spesso è che ci dispiace, ci ha fatto soffrire un comportamento, una comunicazione o un qualcosa che l’altro ha fatto. Quindi riconoscendo questo ed essendo per esempio tristi o dispiaciuti o in difficoltà, potremmo portare questo tipo di difficoltà all’interno dell’interazione e della comunicazione andando dal capoufficio per esempio e dire “Sono in difficoltà” oppure “Mi dispiace moltissimo, ho delle difficoltà mie personali, evidentemente comunicative, non riesco a farti capire che io vivo questi continui compiti che tu mi assegni il venerdì alle 4.30 di sera in modo molto sofferente. Mi metti molto in difficoltà, perché la mia agenda è già piena, sto già portando avanti le cose e questo non riesco a sbrigarlo. Ogni volta che te lo faccio presente mi sembra di essere il Bastian contrario o il polemico di turno e invece vorrei trovare un modo per comunicare a te questa cosa oppure per risolvere strutturalmente o organizzativamente la situazione”.
In questo caso la palla passa all’altro, passa all’altra persona. L’altra persona in questo caso ha più possibilità di risposta. In questo caso ha una possibilità collaborativa, costruttiva

Ma se l’altro se la merita proprio la mia rabbia?

gestire relazione rabbia conflitto tristezza


Sicuramente molti di voi hanno già scartato la possibilità di relazionarsi così con la persona con cui vivete un conflitto. Secondo voi l’altra persona è effettivamente una cattiva persona oppure è, per un qualche motivo, disinteressata alla vostra situazione. E quindi, di fronte alla vostra espressione di tristezza “Guarda che mi sento ferito/a per questo motivo” l’altra persona risponderà sicuramente “Beh, e a me cosa mi interessa? Sono problemi tuoi” e quindi se ne laverà le mani.
Ipotizzando che sia vero, voi avrete modo di intervenire in seconda battuta.
Il consiglio, banale, è di ripetere esattamente il primo vostro intervento, quindi di rimanere su un’emozione di dispiacere, di tristezza o problematica, senza attribuire colpe o responsabilità a nessuno, neanche a voi stessi, ma semplicemente non farsi trascinare dalla rabbia e ripetere “Io sono dispiaciuta/o di questa situazione” in modo che la palla ritorni pulita al vostro interlocutore. Il messaggio ripetuto diventa più chiaro e questo facilita l’altra persona ad abbassare le armi, rivedere il proprio atteggiamento o, semplicemente, rallentare e prestare attenzione alla situazione per cercarne una soluzione.

“Sono triste, non sto dicendo che sia colpa tua, sto dicendo che questa situazione è per me problematica”.

L’obiettivo non è quello di essere buoni, bravi e giusti, è arrivare all’obiettivo. È fare in modo, quindi, che vostro marito al ritorno a casa non vi faccia sentire una serva pigra; o che vostra moglie non fraintenda le vostre parole o il vostro lavoro come un disinteresse familiare; oppure che il vostro capo vi dia meno lavoro o lo organizzi in priorità di tempo in modo più efficace o che usi delle modalità comunicative più rispettose.

Gestire le nostre emozioni, puntando più sul nostro rammarico per una situazione problematica, ci permette di guidare il processo comunicativo in toni pacati e spostando l’attenzione così al contenuto “conflittuale” che diventa chiaro e viene posto al centro del dialogo.
Di fronte al nostro modo di porci e di focalizzare l’attenzione su un problema, l’altra persona è portata a scoprire le carte in modo più evidente.
Può continuare con un atteggiamento e un tono di rabbia oppure può dimostrarsi più collaborativa mutando toni e discutendo dell’eventuale problema.
Se dovesse insistere in toni aggressivi, il suo sarà uno sbilanciamento palese e lì, se ne varrà la pena, avrete modo di sfogare la vostra rabbia e, se servisse, rivedere i presupposti della relazione.

Gestire la rabbia in una relazione conflittuale: sunto

Quando veniamo feriti da un interlocutore con cui abbiamo una relazione duratura (es: coppia, amici, lavoro) è importante riuscire a:

  • non passare dalla parte del torto sfogando la nostra rabbia, quando il tono dell’altro magari è pacato
  • non far finta di nulla, mantenendo una calma apparente, mascherata da diplomazia, mentre dentro di noi divampa l’incendio
  • non dare il via ad una litigata che porti solamente a sfogare gli animi, ma a mantenere costanti le condizioni che ci hanno portato ad arrabbiarci
  • non sfogare la nostra rabbia quando è l’altra persona ad avere il coltello dalla parte del manico

Quando l’intensità emotiva è elevata, una buona strategia è quella di sfogare la tristezza che precede la rabbia, portando l’attenzione sulla difficoltà che vedete in quel contesto. Questo vi permette di rimanere onesti con voi stessi e con la situazione, avendo più chiaro il problema e favorendo che le posizioni di entrambe le parti siano rivolte alla soluzione.

Fate attenzione a non usare un modo vittimistico: la vostra sarebbe un’aggressione passiva.

Nota: “Gestire la relazione nonostante la rabbia” è il 15° spunto di “15 idee per la tua mente”, un progetto estivo in cui ogni settimana propongo, sulla pagina facebook di MeLab, un argomento di psicologia applicandolo alla vita di tutti i giorni. Questo articolo è la trascrizione (quasi fedele) di una diretta facebook durante il laboratorio dello scorso anno: perdonate la sintassi, coglietene il succo e se avete delle domande ponetele sulla pagina. Ci sarà una diretta ogni mercoledì durante la quale risponderò alle domande, darò degli esercizi specifici e dei riferimenti per approfondire l’argomento.