Persistenza delle erronee interpretazioni catastrofiche nel Disturbo di Panico

Leggendo i due articoli precedenti sul Panico (vedi qui 1 e qui 2), a qualcheduno sarà anche venuto a mente il Modello del circolo vizioso del Panico di Clark (1986) con il ciclo del mantenimento di Wells (1990), che è un modello della teoria cognitiva (razionalista).

Disturbo di Panico Wells

Oppure il Modello della interazione tra le tentate soluzioni e la persistenza nei disturbi fobici di Nardone (1993), che è un modello della teoria breve strategica costruttivista (la figura si legge dal basso verso l’alto).

Panico Terapia Breve

Ci tornano utili per chiarire che per i vari modelli psicologici il Disturbo di Panico è mantenuto da un certo tipo di personalità (o organizzazione semantica o schema mentale o teoria di sé o sistema percettivo-reattivo o altro), e anche da delle modalità di affrontarlo e con-viverci che confermano o perlomeno non permettono di contraddire le interpretazioni errate.

Strategie disfunzionali del Disturbo di Panico

Questi adattamenti o strategie disfunzionali sono:

  1. l’evitamento come:
    • non recarsi in alcuni luoghi o non partecipare ad alcune situazioni (es: cinema, discoteche, feste, competizioni…)
    • la fuga
    • gli evitamenti sottili (es: distrazione)
  2. la richiesta d’aiuto esterna come:
    • persone care fungono da accompagnatori e da riferimento sicuro
    • a persone care è delegata la responsabilità della gestione del contesto
    • necessità di avere sempre a portata di mano farmaci ansiolitici o simili (anche se inutilizzati)

Ipotesi, teorie e teoria di sé

La persona, quindi, evitando situazioni interpretate come pericolose, confermerà la sua incapacità ad affrontarle e diminuirà le possibilità di sperimentare che tali teorie sono fondate su un’elaborazione errata di input sensoriali (vedi costrutti di impotenza appresa e autoefficacia percepita).
La risonanza più subdola di tutto ciò è che contesti in cui le emozioni giocano un ruolo importante, cioè situazioni in cui gioia, rabbia, sorpresa e altro si palesano anche con una forte attivazione fisiologica, vengono associate a situazioni da evitare perché mimano stati d’alterazione vicini a quelli che produrrebbero il panico.

Il concetto della “paura della paura” di Razran (1961) [vedi anche Goldstein e Chambless, 1978)], si amplia in quello dell’ “evitamento dell’emozioni“.

Alessitimia e Panico: non parlare di emozioni per paura

Si pensa che non riuscire a descrivere le proprie emozioni e le proprie sensazioni comprometta l’abilità di organizzarne il senso. Non padroneggiare il senso delle sensazioni corporee ce ne fa essere succubi.
Il costrutto alessitimico si compone di quattro importanti caratteristiche:

  1. difficoltà nell’identificare i sentimenti e nel distinguerli dalle sensazioni corporee che si accompagnano all’attivazione emotiva;
  2. difficoltà nel descrivere agli altri i propri sentimenti;
  3. processi immaginativi limitati, evidenziati dalla povertà delle fantasie;
  4. stile cognitivo legato allo stimolo e orientato all’esterno.

Tale costrutto si lega benissimo a quello di “controllo” tipico dell’ansia. La persona che teme di perdere il controllo di sé, quindi, eviterà non solo le situazioni ritenute a rischio, ma anche ogni riferimento all’intera area emotiva che viene permeata e infettata anch’essa dal senso di preoccupazione.
Per illudersi di aver maggior controllo, quindi, la persona inconsapevolmente ristringe il proprio campo d’azione sia ambientale che psichico.

Come diceva uno degli autori e dei divulgatori più influenti della seconda cibernetica:

Ci resta una sola certezza: che se non siamo noi ad agire, sarà qualcun altro ad agire su di noi. Se dunque vogliamo essere soggetti, e non oggetti, ciò che vediamo in questo momento, ossia la nostra percezione, deve essere più un prevedere che un guardarsi le spalle (Heinz Von Foerster).

La terapia per il Disturbo di Panico (DP) o Disturbo da Attacchi di Panico (DAP), prevede quindi, nelle numerose varianti dei modelli psicologici, una rielaborazione esplicita delle emozioni e una ripresa del contatto con esse. Questo può avvenire tramite diari, dialoghi con il terapeuta, analisi di dinamiche interne, training autogeno, esercizi di visualizzazione, meditazione e autoipnosi, griglie, compiti e azioni da eseguire in particolari situazioni, ecc.
Il risultato è che la persona acquisisce nuovi strumenti e spiegazioni per interpretare più funzionalmente le proprie sensazioni, le proprie preoccupazioni, le emozioni in genere e la propria relazione con esse. Questo genera nuove teorie del Panico, delle emozioni e di sé.

Per continuare leggi il 4° articolo sul Panico cliccando qui